Regia di Marco Bocci vedi scheda film
Con titolo metereologico e dal doppio senso gergale, A Torbella Monaca non “piove” mai è un’altra storia di (micro)criminalità improvvisata in ambiente de borgata romana. Marco Bocci, all’esordio come regista, usa un linguaggio filmico “che passa dal videoclip alla spettacolarizzazione degli eventi fino al realismo dei silenzi e delle frasi non dette” e lo fa in maniera, a volte, caotica e confusa, nell’assenza di una precisa direzione registica da seguire. Il ritmo, più che dal rapporto fra le immagini, sembra costruirsi su una “condivisione forzata di musiche invadenti e disturbanti” all’interno delle sequenze di maggiore azione, facendo così disperdere, purtroppo, quelle energie autentiche che gli attori sprigionano dai ruoli in cui si immergono. Nonostante siano sempre i soliti volti (Libero de Rienzo, Andrea Sartoretti, Federico Tocci) a parlare in romanesco, con il rischio di rimanere intrappolati in uno stereotipo recitativo, è innegabile una costante presenza fisica, quasi tattile, nelle loro interpretazioni, di un permeante malessere umano e quindi sociale, che sfocia in un degrado morale (nel lavoro, nei rapporti, nei progetti di vita) a cui solo la famiglia, con le sue indistruttibili dinamiche interne, sembra resistere. Ed allora è nella tradizione che, paradossalmente, si cela una forza che pare essere l’unica in grado di opporsi al totale sfacelo etico del nostro Paese (anche se ci si chiede, in modo amaro e provocatorio, se non sia stata proprio questa tradizione la causa primaria della nostra rovina). In questo spaccato postproletario si ritrovanole figure quasi archetipiche di un gruppo familiare italiano, una nonna morta dalla quale si attingevano per sopravvivere i soldi della pensione (quando ancora respirava), un padre e una madre ormai anziani, pieni di acciacchi, che continuano ad incazzarsi per le piccole e grandi ingiustizie della vita e amano, incondizionatamente, i due figli, Mauro e Romolo, che sono costretti ancora a vivere con loro, perché non c’è lavoro (e se c’è lo stipendio è da fame) e nemmeno, a quanto pare, la possibilità di trovarlo. In questo quadro di realistica precisone (il dettaglio dei gambaletti della madre sul tavolo è un piccolo gioiello) si scopre un’onestà di racconto non indifferente in cui risiede il valore di una pellicola che altrimenti finirebbe per essere fagocitata dalla ripetizione di situazioni e di luoghi comuni creati da tanta fiction nostrana. Il soggetto e la sceneggiatura, dello stesso Bocci (che si ritaglia pure un cameo) hanno parecchi buchi, un pò come le strade di Torbella, ma non ci si fa tanto caso, ci penseranno gli attori a riempirli, con una battuta da ride, un gesto de rabbia o uno sguardo imbruttito.
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