Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
Lui è un giornalista donnaiolo, senza arte né parte; lei un’insegnante di danza frustrata; la piccola Lucilla, loro figlia, ha sei anni e l’asma psicosomatica. Come se non bastasse la situazione precaria, in casa arriva una ragazza alla pari irlandese.
Viveri sarebbe indubbiamente stato un titolo più appropriato per questa pellicola, un lavoro per l’appunto alimentare, destinato a procurare da mangiare agli autori e ai collaboratori tecnici/artistici, certo non a rimanere impresso per l’eternità nella Storia del Cinema accanto, per dire, a capolavori come Vivere di Kurosawa (1952). No, davvero, c’è troppa presunzione in un titolo simile per un’opera che inquadra di sbieco – con una sceneggiatura zoppicante che reca le firme di Paolo Virzì, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi, neppure gli ultimi arrivati insomma – un quadro di famiglia disfunzionale-ma-non-troppo ben radicato nella piccola borghesia romana. E, tanto per cambiare, eccoci di fronte all’ennesima Micaela Ramazzotti (altrove bravissima, senz’altro) nei panni della romana burina e isterica; eccoci di fronte all’ennesimo Adriano Giannini bello, tenebroso e sofisticato, eccoci insomma di fronte all’ennesimo rimasticamento di luoghi comuni (nella trama) e di soluzioni già viste per il nostro cinema, già effettivamente in grave crisi di originalità prima di questo film. In più momenti Vivere assomiglia a una fiction televisiva, campo già percorso in più occasioni dalla regista Archibugi, e probabilmente il pubblico assonnato delle poltrone e dei divani domestici è quello più adatto a ricevere un simile polpettone pseudo-cerebrale, in realtà piuttosto terra terra e negli argomenti e nelle dinamiche. Fra gli altri attori, all’interno di un cast comunque rispettabilissimo, ci sono Massimo Ghini, Roisin O’Donovan, Valentina Cervi, Enrico Montesano e, tanto per cambiare nei panni dell’inquietante svitato, Marcello Fonte, per distacco il migliore come resa sullo schermo. 3/10.
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