Regia di Tommy Bertelsen vedi scheda film
Opera intimista, sviluppata in un contesto di ansiogena patologia religiosa. Una storia d'amore proibito, nato e praticato tra le mura di un convento, causa di nemesiaca "benedizione/maledizione" (le stigmate e -in netto contrasto- la possessione diabolica). Bravissima la protagonista, anche autrice della sceneggiatura.
Skulte, Latvia (Lettonia).
Madeline (Kristen Ruhlin), dopo un lungo viaggio in treno assieme alla piccola figlia Willow (Sophia Massa), raggiunge il padre Frank, gravemente ammalato. Mal ricevuta dalla madre Yelenia (Svetlana Ivannikova) -che l'ha abbandonata in giovane età- passa una notte agitata, vivendo sonnambula, nel pozzo vicino a casa, una indefinita esperienza tra sogno e realtà. Successivamente, mentre assiste padre Joseph (Juris Strenga) che si appresta a dare la benedizione al genitore morente, si manifestano sul suo corpo le stigmate. Madeline, poiché senza volerlo ha gravemente ferito la figlia, su consiglio di Joseph viene accolta a Mercy, vicino convento di clausura.
"Quando sono venuta qui ero così sola... mi sono nascosta nel campanile. Ci sono queste scale di legno che vanno fino in fondo, e in cima c'è questa vecchia campana, con ruggine attorno ai bordi. E non c'è niente come il vento lassù. Così forte che niente riesce a fermarlo. Sembra che possa venire a prenderti e portarti via... Il campanile è dove ripari quando non hai nessun altro posto dove andare." (La novizia August)
Tommy Bertelsen, alla seconda regia dopo il drammatico Feed (2017), adatta allo schermo la sceneggiatura opera dell'attrice -anche protagonista principale nel ruolo di Madeline- Kristen Ruhlin. Descrivibile come una via di mezzo tra il tema esorcistico (qui affrontato in parte sullo stile di The exorcism of Emily Rose) e il dramma conventuale alla St. Agatha, film con il quale condivide una certa impostazione critica sulla rigidità imposta alle postulanti e novizie da una madre superiora rigidamente asservita alla logica -talvolta arcaica ed estremista- religiosa. Welcome to Mercy è un film molto curato, realizzato con una indovinata attenzione al contesto ambientale. Paesaggi innevati, grigi a causa di un cielo annuvolato e vento perenne fanno da contorno all'architettura medievale del convento, costruito in una zona isolata e dominata da un campanile che sembra essere sempre esistito. Anche la fotografia, pur non esente da difetti dovuti a scarsa illuminazione nelle scene più buie, a suo modo valorizza le ottime scenografie.
Tutta la prima parte del girato riesce a creare un graduale affondo verso tematiche inquietanti -pur se romantiche- e intimiste. Perché anche se catalogabile come horror, privo di effetti speciali o situazioni caratteristiche del genere, Welcome to Mercy sembra più orientato alla critica del punto di vista reazionario tipico della dottrina cattolica, scardinando alla base la vocazione stessa. Non a caso tutte le postulanti -destinate dopo un anno di clausura a diventare novizie- vengono da situazioni umanamente precarie: prostitute, vagabonde, donne confinate -per un motivo o per l'altro- ai margini della società. Altro che chiamata divina, dunque, come afferma August (Lily Newmark) in uno dei più malinconici momenti del film: "avevo paura di restare sola, per questo sono venuta qui". E anche Madeline, suo malgrado toccata dalle stigmate, si trova costretta in un contesto che non gli appartiene. Non la vediamo quasi mai indossare i parametri sacri, e la tribolazione che è costretta ad affrontare (solo perché figlia di un amore nato in seno alla struttura cattolica) ce la descrive, in avversione al comune sentire, maledetta -più che benedetta- dalle stigmate. La sofferenza di vivere, la privazione, l'amore (im)possibile e la colpa sono i temi che attraversano trasversalmente un film decisamente interessante ma che dal secondo tempo in poi difetta a causa dell'uso improprio di sovrapposizione tra scene del presente e dal passato, sino ad arrivare ad una conclusione nebbiosa, intricata e inintelliggibile, frutto di idee sbandate più che di un voluto tentativo di personale interpretazione della (pro)vocazione conventuale.
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