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Titixe

Regia di Tania Hernandez Velasco vedi scheda film

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La recensione su Titixe

di alan smithee
8 stelle

13° FESTA DEL CINEMA DI ROMA - SELEZIONE UFFICIALE

L'esperienza della terra; la lezione della ciclicità delle stagioni, dei periodi di semina e di raccolto.

Il lavoro della terra richiede sacrificio, ma anche esperienza, e preparazione, che diviene elemento indispensabile, pur se neppur quello in grado di rendere nulli i rischi da inconvenienti che fenomeni come calamità naturali possono arrecare al contadino, mettendo a repentaglio ogni suo sforzo fisico ed economico, e vanificando ogni operato.

In una zona agricola del Messico, la morte di un vecchio contadino mette a repentaglio un'attività che, negli ultimi decenni ha visto allontanarsi inevitabilmente, uno dopo l'altro, tutti i membri della famiglia, trasferitisi nelle grandi città a trovare un lavoro che risultasse meno faticoso e meno aleatorio come quello del contadino.

Da quel momento il vecchio è restato l'unico, assieme a sua moglie, a continuare ostinatamente la coltivazione del suo podere.

La nipote, Tania Hernandez Velasco, giovanissima e di professione regista, torna dal nonno e percepisce l'amarezza dell'uomo, che si rende conto che tutta la cultura legata ai ritmi e ai sistemi di coltivazione dei campi di fagioli di quella zona, morirà assieme a lui.

La ragazza si ripromette di tornare per filmarlo e documentarne le esperienze, i ritmi, i trucchi del mestiere vecchi di generazioni e generazioni, tramandati di padre in figlio fino a due generazioni orsono.

Purtroppo il nonno muore e la ragazza torna con la madre al campo, al cui centro svetta un grande albero piantato trent'anni prima dal nonno per creare ombra che alleviasse i contadini durante le ore più calde della giornata, trascorse nella terra, tra i solchi, a sudare e a fare sforzi.

Titixe, che vuole dire "spigolare", sottintendendo la pratica lecita e normalmente autorizzata che consentiva a chiunque, una volta terminato il raccolto, di accedere nei campi altrui per racimolare ciò che di ultimo restava del raccolto, una volta terminate le operazioni ufficiali di accaparramento del frutto della terra.

Al suo primo lungometraggio, la Hernandez Velasco filma un documentario completamente incentrato sulla storia della sua famiglia, ma indirettamente legato alle medesime sorti che, oggi più che mai, sono riservate ai terreni un tempo coltivati, oggi abbandonati e lasciati incolti ognuno al proprio destino di totale trascuratezza.

La Velasco riflette, con una certa preoccupazione, sulla circostanza che, se anche i giovani avessero intenzione di tornare alla terra, costoro dovrebbero iniziare tutto da capo, perché tutte quelle tecniche imparate ed assimilate con il tempo dall'esperienza decennale, se non secolare, sul campo, sono ormai quasi completamente andate perse dall'incuria e dal disinteresse delle ultime generazioni.

Un documentario girato a cuore aperto, che riesce a struggere semplicemente raccontando, con tutta la lucidità e fermezza del caso, la triste e grave situazione che si prospetta a scapito delle generazioni future, incapaci di gestire operazioni fondamentali per il mantenimento della specie, come la coltivazione degli svariati generi vegetali alimentari. In un mondo che, globalmente, si moltiplica e cresce a dismisura, tutto attorno ad un globo che invece pian piano deperisce ed inselvatichisce, divenendo improduttivo.

Una bella sorpresa, una delle più stupefacenti e meno preavvisate della Festa romana, che attanaglia al cuore, che fa riflettere soprattutto chi - come me - per tradizione di famiglia, si trova molto legato alla terra a causa di proprie non lontane origini contadine/operaie, e guarda alle tradizioni del passato con un nostalgico atteggiamento rivolto all'indietro verso usi e accorgimenti che rischiano per davvero di andar perduti irrimediabilmente per sempre, a causa di un colpevole ritardato recepimento dei rudimenti conquistati dagli antenati agli albori delle nostre tradizioni.

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