Regia di Pietro Suber vedi scheda film
Nel 2018 sono state promosse varie manifestazioni sul suolo patrio per ricordare la promulgazione delle leggi razziali avvenuta ottant'anni prima nel nostro paese. Non sono riuscito a parlare dell'argomento prima d'ora e sono arrivato "lungo" anche per ricordare la giornata della memoria dello scorso 27 gennaio tramite la recensione del documentario dal titolo "1938 - Quando scoprimmo di non essere più italiani" trasmesso in Rai, in seconda serata, all'interno della testata giornalistica "Speciale Tg1". Nonostante il ritardo mi pare doveroso scrivere di un argomento così spigoloso attraverso le immagini del bel film diretto da Pietro Suber, scelto per la pre-apertura all'ultima Festa del Cinema di Roma. "1938 - Quando scoprimmo di non essere più italiani" è ora disponibile in DVD grazie a Repubblica, dopo un breve passaggio avvenuto in poche sale italiane, lo scorso autunno. Le parole uscite dalla bocca di un'adepta di Forza Nuova che, intervistata da Suber, pronunciava la sua versione atta a sminuire importanza ed impatto delle leggi uscite tra settembre e novembre di quell'anno sono motivo più che sufficiente per riaccendere l'attenzione sul tema. Parole che testimoniano la superficialità nello studio della storia e la necessità di rivedere i programmi ministeriali per una materia sempre più snobbata dallo stesso Ministero dell'Istruzione.
La storia raccontata dal giornalista è nota. Nel 1938 ebbero vita in Italia le leggi razziali. Celebre divenne l'annuncio di Benito Mussolini dal balcone di piazza Venezia che le annunció al popolo italiano. Le leggi che, secondo quanto scritto da Galeazzo Ciano, furono approntate dal Duce in persona, il quale si fece scudo della commissione appositamente costituita per elaborare la riforma in materia razziale, e non sembrare, perciò, troppo coinvolto nella questione ebraica, ebbero la loro ragion d'esistere nella politica imperialista del fascismo, prima che in questioni meramente ideologiche. Non è un caso che, sia il manifesto della razza che le precedette, sia le norme in esse contenute ebbero luce dopo la visita di Hitler a Roma nel maggio di quello stesso anno. Pur non essendo chiaro se l'argomento venne toccato tra i due gerarchi che manifestarono più che altro l'intenzione di sfoggiare il proprio "grandeur" davanti al popolino e la volontà di rafforzare un'intesa politica e militare espansionistica, i cui risultati il popolo stesso subì nel successivo quinquennio, fu evidente il risultato di un'accelerazione improvvisa nel processo di esclusione degli ebrei dalla vita pubblica del paese. Nonostante il calcolo politico che rendeva, in qualche modo necessario, avvicinare l'Italia alle intransigenti posizioni naziste sulla questione ebraica, onestà intellettuale ci costringe ad ammettere che l'antisemitismo da cui le leggi stesse presero piede era ben radicato nel paese. Sarebbe dunque illogico addossare al solo Mussolini la responsabilità delle leggi ebraiche come ebbe a commentare il genero, in disgrazia, Galeazzo Ciano. Gli italiani erano sulle stesse posizioni del Duce e nemmeno Casa Savoia poté dirsi esente da colpe. Vittorio Emanuele III, pur cercando di strappare qualche eccezione per gli ebrei che avevano servito la patria durante la Grande Guerra, firmò le leggi. Gli italiani dunque furono co-responsabili degli eccessi ideologici del fascio perché nella sostanza la pensavano allo stesso modo.
Il film di Pietro Suber parte, nell'elaborare la propria analisi storica, proprio da questo appunto, intervallando filmati e riproduzione di materiali d'epoca (manifesti, atti, foto, testate di quotidiani e riviste, filmini privati) con interviste ai testimoni o ai loro discendenti.
Suber ha avuto il merito di dire ciò che a scuola raramente viene affermato:
1) le leggi razziali furono efficaci ed efficienti quanto e più di quelle tedesche. Nemmeno in Germania fu organizzata una così rapida espulsione degli studenti dalle scuole e dagli atenei come avvenne in Italia.
2) i rastrellamenti che seguirono quello monumentale del Ghetto di Roma, organizzato dalla Gestapo, furono supportati dagli squadroni fascisti. Le S.S. non ebbero bisogno di impiegare i propri uomini nella caccia agli ebrei perché lo zelo della polizia fascista fu ampiamente sufficiente a liberare, ad esempio, la città di Ferrara dalla presenza di parecchi ebrei. Lo racconta il rabbino Luciano Caro dimostrando che il detto "Italiani brava gente" risultasse quanto meno fuori luogo tra le mura della città estense.
3) le responsabilità dei civili furono ampie. La signora Ottaviani venne denunciata da una famiglia fascista che abitava nello stesso condominio e quanto accaduto è rimasto, negli scritti della partigiana, a memoria dei posteri.
4) La giovane Lea Polgar sopravvisse all'olocausto trovando ospitalità presso la casa di un artista che lavorando per il Vaticano poteva affiggere il simbolo papale sulla porta di casa. Tedeschi e fascisti non potevano toccare il Vaticano. Tuttavia la Chiesa era ampiamente divisa sulla questione ebraica e le posizioni del Papa non risultarono mai nette in proposito, sebbene lo stesso Pio avesse promulgato un'enciclica che era piuttosto chiara nel condannare l'antisemitismo pur non accennando mai ad un gruppo in particolare.
5) molti ebrei erano fascisti e non ebbero la lungimiranza di capire che il fascismo era contro di loro. Così nonostante la perdita dei diritti civili molti continuarono a sostenere il Fascio. Fu il caso di Ettore Ovazza ricco imprenditore torinese che si mantenne sempre vicino al regime, pur avendo perso la banca di famiglia e la tessera del partito. Catturato con la famiglia in fuga verso la Svizzera, probabilmente denunciato da coloro che avevano ricevuto un compenso per organizzarne l'uscita dal paese, morí fascista fucilato e bruciato assieme alla famiglia.
6) i nostalgici delle leggi razziali sono ancora vivi e vegeti e sono pronti a sciorinare pretestuose giustificazioni per avvalorare, a braccio teso, il loro valore giuridico.
Pietro Suber chiude lanciando un monito su una ripresa, sempre più preoccupante, di voci che si elevano invitando all'odio razziale, voci che solo il pianto sommesso e silenzioso di Franco Schönheit che ricorda il doloroso addio ai propri cugini e zii nel campo di Fossoli, può mettere a tacere. Un documento efficace ed intenso che invito a recuperare in un periodo sempre piu nero.
RaiPlay
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