Regia di Neil Marshall vedi scheda film
Questo nuovo capitolo del diavolo rosso sceglie di immolarsi alla cultura pop dilagante fin dalle prime battute. La battuta(ccia) ostentata in ogni scena sembra lo scotto da pagare al cinema contemporaneo per poter assurgere a capolavoro effimero e seriale della settima arte.
Il doppiaggio italiano non aiuta: la voce del protagonista sembra carica e ostentata, proprio come la sua "ironia".
Guillermo del Toro ci aveva regalato un personaggio di spessore, storie che alternavano delicatezza a brutalità, ironia a drammaticità, e con risvolti morali non indifferenti. Paragonare "questo" a "quello" è impossibile: qui si vola su ben altri cieli, assai più bassi. Si respira aria di emulazione a ogni piè sospinto, e se si cambiassero le fattezze del protagonista con quelle di qualsiasi altro fumetto trasposto al cinema nell'ultimo decennio, difficilmente si noterebbe la differenza. Storie viste e riviste, morali da trasmissione televisiva di bassa lega, comprimari imbarazzanti.
Questo diavolo rosso è uno specchio della società contemporanea: allo sbando, senza un senso e che vive di cose da consumare rapidamente, e rapidamente dimenticare. In questo caso l'amnesia è un vantaggio: il ricordo dei due capitoli d'autore che l'hanno preceduto e della presenza scenica di Ron Perlman inducono soltanto a dolenti paragoni.
Insomma, questo Hellboy non diverte, non emoziona, non suscita empatia, non stimola riflessione e intrattiene assai meno del previsto. Colpi di scena, pochi e di scarso effetto. Tutto il resto, già visto e rivisto.
Le musiche fracassone, l'uso di turpiloquio a piene mani, l'ostentazione della sottocultura pop a tutti i costi non lasciano dubbi: è l'ennesima operazione commerciale che al cinema non aggiunge, ma semmai sottrae, che svaligia sogni e immaginari per riempire le casse della produzione. Da evitare, ma, soprattutto, da boicottare intellettualmente.
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