Regia di Timo Tjahjanto vedi scheda film
Direttamente in arrivo sulla piattaforma streaming di Netflix un curioso horror alla Sam Raimi, reso interessante dalla suggestiva ambientazione indonesiana.
In crisi economica, l'imprenditore immobiliare Lesmana (Ray Sahetapy) ricorre all'aiuto di una fattucchiera con poteri demoniaci. L'uomo sacrifica, mediante l'esecuzione di un rito di magia nera, la moglie. In breve ottiene soldi, successo ed amore, sposando in seconde nozze un'attrice con prole. Con il passare degli anni, Lesmana è di nuovo caduto in disgrazia, fallendo nell'attività e finendo su un letto d'ospedale a causa di una malattia indecifrabile che, oltre agli effetti tipici dell'ictus, ha reso il suo corpo pieno di pustole. In questo tragico contesto si ritrovano riuniti la figlia di primo letto Alfie (Chelsea Islan), assieme ai fratellastri al seguito della matrigna. Nonostante gli attriti, i familiari si radunano nella casa ormai decrepita di Lesmana, pensando di trovare oggetti di valore. Invece, decidendo di forzare una porta sbarrata e adornata di simboli magici, liberano dalla cantina un'entità maligna che prende possesso dei loro corpi. Si tratta del fantasma della fattucchiera, caduta sotto il violento attacco di Lesmana, ribelle a causa di un ulteriore sacrificio di sangue richiesto.
"La ricchezza si paga con l'anima." (La sacerdotessa dell'oscurità)
Il ritorno del cinema demoniaco, in senso di possessione di corpi con volti deformati e voci alterate in stile volutamente eccessivo (alla Sam Raimi de La casa o al Dèmoni di Lamberto Bava), piomba inaspettatamente su Netflix grazie a questa convincente produzione indonesiana, frutto della fantasia sfrenata di Timo Tjahjanto, regista che dopo un promettente esordio nel collettivo V/H/S 2 (segmento Safe heaven) ha dato prove sempre più interessanti, mettendo mano all'adrenalinico Headshot (2016) e alla doppietta di efficaci titoli con "qualcosa che viene per prendere per te" (sia il diavolo o la notte), girati nel 2018: questo intrigante horror ch'è appunto May the devil take you e il sanguinario scontro tra gang criminali in The night comes for us. Dopo un incipit decisamente riuscito, con rito satanico e preambolo di forze demoniache in atto, Tjahjanto sintetizza brillantemente sui titoli di testa -mediante l'escamotage degli articoli di giornale- effetti e conclusione della satanica funzione. Senza perdere tempo, sin da subito, ci si trova quindi proiettati in un universo ambiguo in bilico tra magia e diavoleria, con epifanie mostruose (la comparsa spettrale in ospedale) e manifestazioni di forze ultraterrene che reclamano corpi e, soprattutto, anime.
La sceneggiatura, a metà tragitto, diventa anche prevedibile ma lo stile non comune del regista rende May the devil take you un'opera decisamente coinvolgente per quanto ben girata. Ne esce quindi un omnibus del soprannaturale, con un puntuale lavoro sul trucco (e un paio di levitazioni che lasciano il segno), necessari accompagnamenti sonori d'effetto e riprese dinamiche e vertiginose. Molto ben realizzata anche la sequenza Voodoo, con la posseduta del momento (Maya/Pevita Pearce) a manipolare bambole ad effetto transfert. È in questo frangente che la devastazione degli arti cui viene sottoposto il fratellastro di Alfie, ossia Ruben, si conclude con una decapitazione messa in scena in maniera davvero impressionante. Dato l'esito, e il costante risultato d'alta qualità ottenuto nelle sue regie, Timo Tjahjanto diventa a tutti gli effetti un regista da tenere certamente d'occhio. C'è da scommettere che anche al prossimo lavoro non potrà deludere.
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