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Un amico straordinario

Regia di Marielle Heller vedi scheda film

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La recensione su Un amico straordinario

di Fabelman
8 stelle

La scoperta di una vera celebrità della TV statunitense nel ritratto offerto da una pellicola delicatamente potente. . .come Fred Rogers.

Una sorpresa, una piacevolissima sorpresa. Perché, lo confido e lo confesso, mi sono affacciato a questo titolo con un pizzico di preconcetto, aspettandomi l’ennesima produzione scialba con la consueta confezione di plastica con cui vengono impacchettate fin troppe pellicole da fin troppi anni a questa parte. Il mio pregiudizio fondava le sue radici sulle delusioni assorbite quasi ogni qual volta mi sono imbattuto in produzioni originali Netflix, Prime, Sky Original e Apple TV+ (non tutte ovviamente, ma lo standard generale è quello). Titoli che sfoggiano nomi di primo piano sia nel cast che nell’apparato tecnico (regia/fotografia/sonoro/effetti speciali/musiche) e che da un punto di vista appunto puramente tecnico arrivano anche a toccare un livello notevole, ma sono titoli in realtà a cui manca qualcosa di fondamentale, quel qualcosa che giustifichi l’elevato tasso tecnico impedendo che diventi un puro esercizio di stile: manca l’anima, sono film di plastica appunto.

Di plastica sono diversi degli ultimi film in cui Tom Hanks è apparso nell’ultima altalenante parte della sua carriera; cito due titoli su tutti che mi hanno lasciato con l’amaro in bocca e con il rimpianto per il potenziale che non è stato (volutamente) espresso: “Notizie dal mondo” (Netflix) e “Finch” (Apple TV+).

“Un amico straordinario” un’anima ce l’ha, eccome!

Diretto dalla regista Marielle Heller (alla sua terza regia) la sceneggiatura poggia, in quanto a soggetto, su un articolo (lungo e toccante) del giornalista americano Tom Junod, pubblicato sulla rivista “Esquire” nel 1998 con il titolo “Can You Say. . .Hero?”.

Tom Junod visse in prima persona le esperienze descritte quando il suo percorso professionale incrocia quello di una vera celebrità del piccolo schermo americano e dei suoi piccoli (e grandi) spettatori: Fred Rogers.

A noi, in quanto pubblico al di fuori dei confini a stelle e strisce, mancherà tutto quel coinvolgimento emotivo che invece sarà presente in chi è cresciuto in prima persona deliziandosi del programma andato in onda dal 1968 al 2001 e per un totale di 895 episodi: “Mister Rogers’ Neighborhood” (“Il quartiere -inteso come vicinato- del signor Rogers”).

Un programma nato e fatto a misura di bambino capace di parlare al bambino racchiuso in persone di ogni età, trattando temi seri e importanti con il candore e la leggerezza di un uomo quanto meno particolare, se non del tutto singolare.

Il giornalista Tom Junod (reso nel film con il nome fittizio di Lloyd Vogel) è interpretato da Matthew Rhys; l’attore è efficace nel reggere la scena al fianco di Tom Hanks, non ne esce sovrastato, anzi il suo personaggio emerge e si stratifica in un continuo crescendo, e riesce inoltre nell’impresa di non rendere patetica l’evoluzione del suo personaggio che da giornalista che fonda il suo successo sul cinismo passa ad essere un uomo che scava dentro di se per comprendere la natura del suo malessere e mettersi in discussione.

Lloyd Vogel incontrerà (controvoglia) il soggetto affidatogli dalla redazione per il suo prossimo articolo e tale incontro sconvolgerà interamente la sua esistenza; non avrebbe potuto mai immaginare che da esaminatore sarebbe diventato l’esaminato, da intervistatore l’intervistato.

Al primo incontro ne seguiranno altri, questa volta voluti e richiesti da quest’uomo granitico all’apparenza a cui iniziano a sgretolarsi le sue apparenti certezze; inizia a riconsiderare se stesso e il suo relazionarsi con gli altri, compreso chi da sempre l’ha deluso e con cui ha tagliato i ponti.

Tom Hanks è magnifico, viene candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista, non lo riceve ma ci stava tutto (se consideriamo oltretutto che è stato assegnato a Brad Pitt per “C’era una volta a. . .Hollywood”). Come affermato dallo stesso Hanks, la cosa più difficile è stata adeguare la voce per renderla quanto più simile possibile a quella di Fred Rogers; ma la voce non è la sola caratteristica inconsueta del personaggio (reale) che Tom Hanks è chiamato ad interpretare, infatti pressoché tutto di Fred Rogers sembra un richiamo ad una caricatura, una caricatura come presentatore TV, una caricatura come uomo di tutti i giorni una volta spenti i riflettori, come marito e padre di due figli.

Caricatura di un uomo adulto ma che di ridicolo non ha niente, solo una forte accentuazione caratteriale e di manierismi, una caricatura che assegna una forte dignità e che ci aiuta a comprendere come, con le nostre malizie e presunzioni, siamo noi ad essere di volta in volta le caricature (questa volta sì ridicole) dell’essere umano.

Una scena madre è ambientata al tavolo di un ristorante con i nostri due protagonisti: un minuto di puro coinvolgimento emotivo (nell’articolo pubblicato sull’“Esquire”, viene menzionato come Fred Rogers fece realmente qualcosa di simile durante una premiazione con il pubblico dapprima sarcastico ma infine profondamente commosso).

Con lo scorrere della pellicola, ciò che emerge chiaramente è lo scarso approfondimento del personaggio di Rogers; non viene di fatti spiegato nulla del suo vissuto e di cosa lo abbia portato a intraprendere una linea di condotta così pregna di buoni sentimenti e devota al benessere del prossimo, tanto da crearsi una carriera in tal senso diventando una sorta di “tutore” per diverse generazioni di bambini americani.

Tale carenza (che ho riscontrato in varie recensioni autorevoli) inizialmente mi ha lasciato con l’amaro in bocca, allora ho rivisto il film, ho approfondito il soggetto, ho letto l’articolo “Can You Say. . .Hero?” disponibile online sul sito dell’“Esquire”, e tutto ciò mi ha fornito la giusta chiave di lettura con cui approcciarmi e rivalutare la pellicola: già un indizio è racchiuso nel titolo originale “A beautiful day in the Neighborhood”, ossia “Un bel giorno trascorso nel Quartiere -quello sul set di Fred Rogers-”; dunque la pellicola non va vista attraverso gli occhi di questo amico straordinario, fuori dal comune, ma va vissuta attraverso la narrazione di chi è stato meravigliato e travolto allo stesso tempo da questa personalità attraente ed originale quanto incomprensibile ed enigmatica.

Questo stato spiazzante di incredulità permane nel protagonista, lui infatti non ottiene tutte le risposte, non ha il tempo ne la possibilità di conoscere tutto il trascorso che ha portato il signor Rogers a scegliere di approcciarsi alla vita nella maniera in cui ha fatto.

La stesso stato spiazzante di incredulità permane pertanto nello spettatore, non ottiene tutte le risposte, giustamente; il film non approfondisce il personaggio di Fred Rogers in quanto sostanzialmente non ci sono le basi per farlo, come non lo fa l’articolo pubblicato nel 1998 scritto dal diretto interessato.

La sceneggiatura ha dunque il merito di non ipotizzare, non deviare sui binari del realistico ma non reale, per rispetto del signor Rogers e di tutti noi.

Non sapremo mai perché (e come) Fred Rogers contenga i suoi impulsi comprimendoli in un momento di imbarazzante silenzio o sfogandoli in una breve ma intensa sfuriata sui tasti di un pianoforte, non sapremo mai perché sembri avvolto da un perenne stato di grazia che coincide con un apparente stato di distacco da tutto il male del mondo. . .in realtà non sapremmo nemmeno come definire un uomo simile. . .come potremmo dire?! “Possiamo dire. . .eroe?”

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