Regia di Dexter Fletcher vedi scheda film
Dramma colorato e introspettivo in forma di musical su una delle più amate e talentuose icone contemporanee del pop/rock.
Arrivato a qualche mese di distanza dal successo planetario ottenuto da Bohemian Rhapsody (2018), il discusso biopic incentrato sull’intramontabile figura di Freddie Mercury, questo Rocketman, sintetica biografia dell’altrettanto iconico Elton John, si presenta in verità come un’opera a metà strada tra il musical e il dramma, avendo alcuni punti in comune con il film celebrativo dei Queen, ragion per cui il paragone tra le due pellicole è inevitabile.
La prima coincidenza a risaltare è la presenza dietro la macchina da presa di Dexter Fletcher, che sostituì – pur non ufficialmente accreditato – Bryan Singer nella direzione del biopic sulla rock band inglese, per motivi non ancora del tutto chiariti. Fletcher, che ha una lunga carriera registica soprattutto nell’ambito televisivo, riesce a confezionare una pellicola dal buon impatto visivo ed emotivo, dando il giusto spazio tanto ai momenti musicali quanto a quelli più introspettivi, grazie anche ad una sceneggiatura che, tramite flashbacks, si muove abilmente tra vari momenti temporali e diversi registri emozionali, secondo uno schema circolare che, anche in questo caso, ricalca una tipica triade: ascesa, caduta, risalita.
Tuttavia, lo scipt mostra un maggiore coraggio nell’affrontare e presentare gli eccessi e le fasi di dipendenza attraversati dal cantante, seppure con indulgenza e senza diventare eccessivamente morboso. La musica in questo caso funge da filtro e da discrimine nel raccontare episodi della tormentata vita di Reginald Kenneth Dwight – questo il vero nome del cantautore e musicista britannico – concentrandosi soprattutto sul suo rapporto difficile con la famiglia e sulle sue sfortunate relazioni sentimentali.
Le canzoni non appaiono inserite in maniera cronologica e filologica, anzi vengono talvolta reinterpretate anche da altri attori in scena, con lievi cambiamenti di arrangiamento e parole; alcune hit come Daniel o Sorry seems to be the hardest word sono solo accennate, mentre altre come Crocodile rock, Rocketman o Your song trovano giustamente maggiore minutaggio, essendo anche tra le più amate e conosciute.
Altro fattore in comune tra Mercury e John è l’essere stati icone eccentriche, geniali, trasgressive ma affette da una profonda mancanza affettiva che trova sfogo e motivo d’essere proprio nella composizione di canzoni, in cui spesso emerge anche la fatica di accettarsi come diversi, per aspetto fisico, mentalità e inclinazioni sessuali. Nell’artista convivono due anime diverse: quella del timido e insicuro Reginald, soffocato da una madre egoista e frivola (una quasi irriconoscibile Bryce Dallas Howard) e deluso da un padre freddo e assente (Steven Mackintosh, antipatico quanto serve), e quella dell’esuberante Elton, avido di vita e di affermazione, quasi una doppia personalità resa con convincente realismo dal giovane attore gallese Taron Egerton, che si cimenta con buona capacità canora anche nell’interpretare i brani della colonna sonora, sfoggiando un timbro molto simile a quello della sua controparte reale.
Forse a non emergere sempre in maniera energica nella sua personificazione del baronetto inglese è il carisma da provocatorio animale da palcoscenico, specialmente negli anni giovanili, spesso offuscato dai costumi appariscenti ed esagerati, ricreati ad arte sugli originali (come mostrano i titoli di coda). In verità, nonostante il buon lavoro compiuto da Egerton nel riprodurne la postura e le espressioni, le movenze tipiche del cantante britannico sono riconoscibili soprattutto nella sequenza finale.
Cruciale nella narrazione è il rapporto tra Elton e il manager senza scrupoli John Reid (che tra l’altro in seguito fu anche manager dei Queen), impersonato da un algido Richard Madden, col quale visse una turbolenta storia sentimentale, qui mostrata anche attraverso qualche scena audace. Tenero e puro è invece il racconto della relazione con Bernie Taupin, cui presta il volto gentile Jamie Bell, amico fraterno e paroliere insieme al quale cominciò a sbarcare il lunario, proponendosi a vari impresari che non sempre ne riconobbero il grande talento.
Nel complesso si tratta dunque di un viaggio all’interno di un’anima spezzata che mira a risollevarsi e spiccare il volo, un dramma in musica smorzato qua e là da qualche sprazzo più leggero e poetico, imperfetto e affascinante, e soprattutto arricchito da canzoni che non sono invecchiate di un giorno e conservano intatta la loro presa.
Imperdibile per gli appassionati del genere.
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