Regia di Dexter Fletcher vedi scheda film
Le esperienze vissute, inebrianti o traumatiche che siano, lasciano segni indelebili, costituendo un corredo personale in incessante ampliamento, con nuovi pezzi che vanno a sommarsi all’esistente rimodulandone il prisma fondante.
Nel caso di un personaggio che ha raggiunto il massimo successo, ma anche conosciuto cadute abissali, gli umori divergono in maniera siderale, squassando quegli equilibri che, per le persone comuni, caratterizzano frazioni a lungo raggio.
Quando il soggetto interessato è un artista, la sua arte non può che parlare di (e per) lui, seguendone le orme e i sentimenti provati. Rocketman riprende in mano i passi di Elton John, da quando era un bambino fino al 1990, centrifugando la vita privata e l’espressione artistica, con slanci continui che entrano in gamba tesa sulla narrazione tradizionale.
All’età di sette anni, Reginald Kenneth Dwight (Kit Connor) scopre la passione per il pianoforte, un rifugio che gli consente di sopperire all’assenza di affetto paterno e alle scarse attenzioni di sua madre Sheila (Bryce Dallas Howard).
Con il tempo, dimostrerà di possedere un talento fuori dalla norma, premiato alla soglia dei vent’anni, quando incontra Bernie Taupin (Jamie Bell). Musicandone i testi, intraprenderà un’ascesa che, nell’arco di poche stagioni, lo porterà con il nome di Elton John (Taron Egerton) negli Stati Uniti e alla fama mondiale, a conoscere il primo vero amore - John Reid (Richard Madden), che diventerà anche il suo manager -, ma anche delle inevitabili delusioni.
Giunto sul tetto del mondo, dovrà fare i conti con se stesso, con demoni interiori non silenziabili da un giorno all’altro.
Rocketman è un biopic che sbraccia, cercando audacemente di individuare un punto di caduta tra la vita della star e l’arte che ha conquistato il globo, tra quelle note che tutti vogliono ritrovare e la volontà di non finire imbrigliati in un resoconto manicheo e fasullo.
Così, incrocia la gestazione tradizionale, che tanta fortuna ha recentemente portato a Bohemian rhapsody, all’estrosità di Across the universe, procedendo per gradi, ma con congiunzioni intraprendenti, scomparti ideati sottoforma di musical d’antan, autentiche scariche di energia che squassano l’andamento.
Allo stesso tempo, non vengono omesse le pagine scomode, le stesse che ai tempi furono nascoste per non correre il rischio di incrinare il successo. Così, l’identità omosessuale di Elton John è espressa senza reticenze, mentre fin dall’inizio in prima persona, vengono elencate apertamente le sue dipendenze da alcol, droga e, per l’appunto, sesso.
Ne nasce un racconto discettato sulle montagne russe, dimenandosi tra la caratura della star, caratteristiche del personaggio e sentimenti della persona, con pezzi immortali da pelle d’oca, costumi luccicanti ed esagerati, la massima esaltazione da performance e quelle sofferenze che solitamente rimangono in secondo piano, quelle che solo a conti fatti si possono divulgare ai quattro venti senza peli sulla lingua.
Un itinerario impreziosito dall’interpretazione di Taron Egerton, che con Elton John aveva condiviso – per gli scherzi del destino - la scena in Kingsman: Il cerchio d’oro, ma prima ancora occorre menzionare un laborioso lavoro d’insieme, coordinato con energia dal regista Dexter Fletcher.
Per sua stessa natura, Rocketman è un film scostante, spende anima e corpo, taglia e cuce senza crogiolarsi sugli allori, osserva a 360° rischiando ripetutamente di sbilanciarsi. In questo modo, si nutre di una passione vera e si alloca su una ruota che gira sempre più veloce fino a incagliarsi, manovrando sapori molteplici, tra la timidezza delle prime volte e il carisma di chi sul palco si trasforma in una divinità, tra confessioni private e la leggenda (che conta più di 300 milioni di dischi venduti).
Sfavillante e senza omissioni accomodanti.
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