Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Negli anni in cui i "colonnelli" della commedia erano ormai prossimi al pensionamento (o addirittura alla scomparsa), ormai costretti a ritagliarsi dei ruoli al passo con la loro età, sono emersi ottimi esempi di attori e registi (Troisi e Benigni per citare due esempi eccellenti): tra questi bisogna riconoscere un modo molto personale di affrontare il cinema da parte di Pupi Avati. Tra gli espedienti meglio riusciti al regista (esercizio che poi sarebbe divenuto un suo marchio di fabbrica) vi fu il coraggio di "trapiantare" attori provenienti da un passato palesemente comico (e spesso di infimo livello) in contesti più drammatici ed anche sfaccettati.
Con Regalo di Natale l'operazione riesce pressoché alla perfezione con Abatantuono che fornisce una delle prove migliori, per non parlare di Carlo Delle Piane, che nella sua lunghissima carriera era relegato ad un ruolo quasi da freak che si riscatta con una prova davvero eccellente.
Un malinconico gruppo di amici (ormai disgregato), alla soglia dei 40 anni, e tutti, più o meno, bisognosi di denaro, si ritrova a passare insieme la notte di Natale con un obiettivo: spennare un ricco industriale con una rovinosa passione per il gioco. I rilanci al gioco sono pesanti e ben presto i protagonisti della sfida rimangono Franco (Abatantuono), forte della sua prestigiosa posizione come proprietario di un cinema d'essai a Milano (sebbene ampiamente indebitato) ed appunto l'eccentrico industriale che sembra perdere senza batter ciglio. In questa disputa lo spettatore ha modo di conoscere gli altri protagonisti della vicenda: Lele, il più idealista e malinconico: editorialista cinematografico, vessato dai superiori e malpagato, con l'ambizione di pubblicare un libro su John Ford; Stefano, imponente personal trainer che nasconde la propria omosessualità; Ugo, il più viscido dei quattro: ha tradito l'amicizia con Franco, avendo avuto una relazione con la sua prima moglie e ora cerca malamente di sbarcare il lunario facendo il venditore presso una squallida rete TV privata, dimentico di una famiglia da cui è separato. La presenza di Ugo provoca subito la rabbia di Franco, che ancora prova provondo disprezzo nei suoi confronti; tuttavia la ricerca di finanziamenti per il proprio cinema e il simultaneo rifiuto di finanziamento da parte di un possibile investitore lo costringono ad accettare il gioco. Nonostante le precauzioni prese circa l'affidabilità dell'avversario, sia in termini di liquidità che di identità non saranno sufficienti a Franco per evitare di pagare sulla propria pelle l'ennesimo raggiro ideato da Ugo.
La vicenda, ed in questo risiede il suo particolare interesse, non lascia spazio a nessuna concessione sulla nobiltà del sentimento di amicizia. Anzi, dopo uno stemperamento della tensione, con l'avvicinarsi di una riconciliazione tra Franco ed Ugo, si arriva al più abietto dei tradimenti, con il quale Ugo condanna così alla rovina l'amico. Scopriremo infatti che l'industriale è in realtà un baro ingaggiato da Ugo, con il preciso scopo di truffare l'amico e di conseguenza spartirsi la quota vinta. Se tutte queste scene si sviluppano con un meccanismo eccellente, risultano un po' più stucchevoli i vari flashback che infatti hanno un approccio abbastanza accademico nel raccontare le vicissitudini del passato.
Senza ombra di dubbio, rimane una stupenda prova di attori anche nei ruoli secondari (eccellenti sia le prove di Haber che di Cavina) ed un contraltare al concetto di amicizia che era stato portato ai livelli più solidi ed inossidabili attraverso esempi come Amici miei.
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