Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Una voce fuori campo ci dice che Franco e Ugo fin da bambini erano due veri amici, un sax suona le note sognanti e malinconiche di Riz Ortolani su foto in b/n dei quattro protagonisti.
Bologna 1986. Franco è il proprietario di una sala cinematografica nel centro di Milano, siamo sotto Natale e gli incassi non vanno bene, si paga la crisi crescente del cinema. Ugo è un teleimbonitore di una Tv privata che – dopo aver registrato una patetica puntata natalizia – all’uscita degli studi trova la madre che vorrebbe obbligarlo a trascorrere il Natale con la ex moglie e i quattro figli che non vede da tempo ma ha un appuntamento importante. Lele scrive critiche cinematografiche come vice su un quotidiano ed è scarsamente sconsiderato, ha il compito di accogliere in albergo Franco che alla famiglia inventa una scusa pur di non dire che trascorrerà la notte di Natale a giocare a poker. Stefano fa l’istruttore in una palestra di sua proprietà ed è segretamente omosessuale. Il quinto personaggio è l’avvocato Santelia, un industriale giocatore di poker che ama perdere per passione forti somme da denaro, così riferisce Ugo che lo ha scovato in Emilia Romagna. Franco e Ugo non si parlano da dieci anni e la partita è anche l'occasione per riappacificarsi e sfruttare la bravura del primo per spennare Santelia. L’esercente inizialmente rifiuta la rimpatriata per la presenza dell’ex migliore amico insultando Lele e lasciando smarriti gli amici, poi a sorpresa si presenta alla villa presa in prestito. Dopo i convenevoli la partita ha inizio intervallata da pause, discussioni e ricordi. La sfida ben presto è tra Franco e Santelia e il primo prevale sul secondo. Come le puntate di denaro aumentano l’industriale vince le ultime due mani che mettono al palo Franco facendogli perdere 250 milioni. E’ l’alba, Ugo incassa la sua percentuale dall’avvocato che in verità è un baro professionista, Franco solo e fregato da tutti rientra in hotel.
REGALO DI NATALE è la profanazione della sacralità della notte santa da parte di cinque uomini. Santelia, il presunto pollo da spennare si siede al ristorante della stazione di Bologna, “sono venuto qui perché mi hanno detto che si mangia bene”, ordina tre patate bollite, legge passi del Myricae di Giovanni Pascoli e fissa insistentemente una donna seduta di fronte a cui (partito il marito) chiederà se trattasi di una prostituta. Personaggio viscido, vedovo e divorziato, da alcuni passaggi capiamo essere sessuomane. Lele è il nevrotico del gruppo, imprevedibile e inaffidabile vorrebbe pubblicare un libro su John Ford, in albergo mentre attende Franco saluta Martina, la donna fissata da Santelia al ristorante, la quale prende una stanza con l’amante. Come apprendiamo da alcuni flashback, lei è stata la prima moglie di Franco che tradì con Ugo e da qui il motivo della definitiva rottura dell’amicizia. Franco viene riagganciato semplicemente perché ritenuto molto ricco con la sua sala di Milano, in realtà necessita pure lui di soldi per il restauro etc. Anche Ugo è con l’acqua alla gola, pieno di debiti e con il posto di lavoro a rischio. Stefano pare il più sereno ma nasconde qualcosa e sta al gioco, al massacro. Il baro nelle battute conclusive della partita al momento di far vedere le sue carte con in palio 250 milioni offre a Franco una terza strada: “Alzarsi, infilarsi il cappotto, risalire sulla sua auto e andarsene, senza aver perduto nulla…non è regolare ma è Natale, voglio farle questo bellissimo regalo”. “Lei dev’essere matto”, replica perplesso Franco. “Lei non saprà mai con quale punto l’ho sfidata a giocarsi 250 milioni…”rilancia Santelia. “Va bene, vedo i suoi 250 milioni”, conclude Franco. “Abbiamo rischiato molto ma ci è andata bene…era insopportabile per lui andarsene senza sapere il mio punto, ci avrebbe ripensato tutta la vita…”, commenta l’avvocato con Ugo mentre firma l’assegno. Dietro queste battute c’è una metafora della vita ed è emblematica la scena finale in cui Franco nel corridoio dell’albergo urta Martina la ex moglie (“l’unica donna che ho veramente amato”) senza riconoscerla. I sentimenti effimeri della vita. Dietro questi amici non c’è più nessuna amicizia, sentimento valore andato a farsi fottere in nome di individualismi-egoismi e dell’avidità. Ciascuno di loro (chi più chi meno, a parte il laido Santelia) vede la partita come traguardo per colmare debiti e/o risanare una vita fallimentare.
La cifra preponderante di REGALO DI NATALE, piccolo capolavoro dell’ingegno minimalista di Pupi Avati è la falsità, l’inganno, la meschinità umana una e trina. Non solo solitudini rapaci e senza scrupoli, ma anche metafora potente sugli anni ottanta (sempre attuali) “assetati di soldi e dimentichi di certi valori primari” e, tra le altre cose, satira velata sulla televisione che ha invaso le nostre vite con le trasmissioni finte (il buon Natale Ronova cantato da Ugo e il vi vogliamo bene all’indirizzo degli spettatori) o che deve riempire per forza (Lele che la guarda mentre attende Franco e l’inserviente dell’albergo che la accende all’arrivo del cliente in camera). Del Natale alla fin fine rimane solo un albero illuminato in giardino da spegnere con un clic. Diego Abatantuono, Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, George Eastman e Alessandro Haber straordinari.
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