Regia di Tràn Anh Hùng vedi scheda film
Siamo a Saigon, nei primi anni 50. Mui (Lu Man San) e una bambina di dieci anni che arriva dalla campagna per lavorare come cameriera nella casa di una ricca famiglia. Ad iniziarla ai segreti della cucina e alla regola del buon comportamento è la vecchia domestica Ti (Nguyen AnhHoa), che la prende sotto le sue cure aggiornandola sugli umori mutevoli della casa. È così che Mui apprende che i soldi non fanno la felicità. Infatti, i problemi nella casa non mancano. La signora (Truong Thi Loc) è sempre inquieta, gestisce un negozio di stoffa che fa buoni affari ma ha un marito (Nguyen Van Oanh), che passa spesso lunghi periodi fuori casa lasciandola ogni volta senza un soldo. Ha difficoltà a gestire i tre figli piccoli e poi ci si mette anche la nuora (Lam Huy Bui) che vive al piano superiore della casa che la rimprovera di non aver saputo dare amore al figlio. Dieci anni dopo, la signora è costretta a privarsi dei servizi di Mui (Tran Nu Yen Khe) e accetta quindi di inviarla a casa di Khujen (VuongHoaHoi), un pianista amico del suo figlio più grande (KeoSouvannavong) che è prossimo alle nozze con Thu (VanthaTalisman). L'uomo ha però un rapporto abbastanza complicato con la donna e la presenza discreta di Mui diventa per lui sempre più importante.
"Il profumo della papaya verde" - Scena
Una regola non scritta che si accompagna con spontanea logicità alle attività intellettuali del genere umano prescrive che per apprezzare di più e meglio una storia occorre sempre relazionarla al contesto territoriale e storico da cui traggono origine i suoi fondamenti narrativi. Conoscere le sue traiettorie spazio-temporali può significare capirne i tratti simbolici e/o allegorici, scorgerne i sottotesti impliciti. Non occorre certo che si sia tutti esperti di etnografia o di antropologia, basta vestirsi di umiltà per sapere che esiste anche altro oltre il mondo consueto è che questo altro chiede solo un po’ di tempo per essere ascoltato. Per un'arte che vive di immagini come il cinema, un giusto compromesso è quello di partire dal considerare che la gestione dei variegati ingredienti narrativi può donare alle forme dell'immaginario sempre nuove coordinate visive. Questa premessa per dire che al cospetto di un film che arriva da “terre lontane”, una cosa utile da fare sarebbe quella di predisporsi alla sua visione per vedere cosa ha da raccontarci e come intende farlo attraverso il linguaggio universale fornito dalla grammatica del cinema.
Un caso (tra gli innumerevoli) è “Il profumo della papaya verde” (premiato a Cannes con la caméra d’or come migliore opera prima), del regista vietnamita di Trân Anh Hùng, un film intriso di garbata poesia, popolato da silenzi che dicono più di mille parole e da una simbologia naturalistica che è quanto basta per dare un peso specifico significativo all'evoluzione esistenziale della protagonista. Aspetti narrativi che stanno dentro la storia prendendosi il loro tempo per emergere, seguendo una modalità che può apparire incomprensibile se non si sa apprezzare la bellezza delle piccole cose.
La vita di Mui ci viene raccontata da quando è adolescente e dalla campagna va a lavorare a Saigon al servizio di un'agiata famiglia borghese, a quando diventa una donna e inizia a lavorare come cameriera nella casa di un pianista di talento ; da quando viene iniziata alla vita domestica dai saggi insegnamenti della vecchia Ti, a quando inizia a colorare di profumi diversi la vita fatta di insicurezze di Khujen. Nel mentre, c'è sempre una regia che agisce di sottrazione, più incline a palesare lentamente il sopraggiungere dei condizionamenti sociali e dei sussulti motivi che a spettacolarizzare gli esiti. Emblematico è il modo in cui viene gestito il motore narrativo dell'intera storia, ovvero, l'arrivo della piccola Mui nella casa dei ricchi signori. La ragazzina arriva dalla parte povera del paese per accorgersi che nella grande casa in cui è andata a lavorare non regna certo la serenità. Lei e venuta ad imparare come si fa a gestire una casa, ma l'esperienza diretta la porta a capire che la ricchezza economica è un aspetto volatile della vita, che per l'armonia di relazione serve più la solidità dei sentimenti che l'agiatezza economica. Ecco, l’armonia può essere considerata la parola chiave del film, quell’armonia sottoposta alle turbolenze degli agenti esterni alla casa e che le due domestiche tengono a bada ricercandola, tanto nel rispetto dei loro compiti domestici, quanto nell’immutata sensibilità della natura. È in essa che si trova sempre il modo per rasserenare i sensi, ben oltre le acclarate differenze di classe e di genere. É in essa che i sentimenti più puri si sintonizzano con i profumi più belli del mondo.
“Il profumo della papaya verde” un film al femminile, e non solo e non tanto perché donne sono le principali protagoniste della storia, ma perché ogni cosa evoca il colore e il lavoro domestico, i rituali della cucina, i tempi da dedicare alle pulizie, le attenzioni da riservare ai più piccoli, il rapporto geloso con i propri spazi culinari. Tutte cose che in un modo alquanto impercettibile fanno dell'intimità della casa l'unico luogo in cui la donna è signora e padrona. In essa Mui mette le fondamenta della sua crescita esistenziale partendo dal vivere un rapporto simbiotico con le cose della natura : piante, insetti, animali, spezie, frutta, tutto sembra evocare un qualcosa che conserva un carattere vitale nonostante tutto, un qualcosa che per sua intima naturasfugge alle gabbie artificiali che si è dato il genere umano. Mui impara a conoscerle queste gabbie, e da che gli appaiono come il frutto di retaggi socioculturali generalmente accettati come tali, tende ad emanciparsene attraverso una lenta ma proficua evoluzione esistenziale.
Il finale del film è come un cerchio che si chiude. Mui ha donato serenità all'uomo per cui lavorare e, soprattutto, ha imparato a leggere. Ora può aiutarsi con le parole scritte nei libri a dare un senso poetico al rinnovato profumo della sua vita. Un film di delicata dolcezza.
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