Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
I simboli sono importanti ma le persone che li rappresentano ancora di più.
Ci voleva Bellocchio per raffreddare l’estetica frenetica post-Gomorra per far parlare uno degli uomini chiave della lotta alla mafia. Buscetta è quello che definisce la struttura di cosa nostra che ci fa vedere il quadro generale. Il film è la rappresentazione della famiglia, criminale o naturale che sia, affettiva o “professionale”, quando il nucleo si allarga diventa più difficile controllare e difendere tutti se si fa parte della famiglia perdente alla fine non si può vincere. Nella logica mafiosa non si deve tradire chi ti ha ucciso figli, fratelli e nipoti devi convivere con la paura non puoi essere al sicuro e non ti puoi fidare di nessuno. Dietro al simbolo c’è l’uomo che sa riconoscere chi gli sta di fronte si fida e si confida comincia a raccontare fatti persone e cose di una storia criminale degenerata, secondo lui, dall’arrivo dei corleonesi. Il problema è che per lui comandare non è mai stato meglio di quell’altra cosa incapace quindi di accettare una vita reclusa o con la bocca chiusa. Nell’atmosfera del maxi-processo le reazioni assurde e caotiche degli imputati e non solo rendono superflui gli inserti onirici e grotteschi soliti del regista, basta la fredda cronaca. I tentativi di smontare il teorema Buscetta rimbalzano su un uomo che non ha rinnegato i suoi delitti ma che vuole dimostrare la disonorabilità degli uomini che ha di fronte. Dopo la morte di Falcone tutto salta e lui continua a parlare ma nessuno lo ascolta, accusa la politica tocca gli intoccabili cerca così di onorare la vita di un giudice che lo ha ascoltato e del quale si fidava. Il nostro accetterà di vivere fino alla fine con la sensazione di essere braccato anche in terra straniera sempre armato e vigile riuscendo anche a ritagliarsi spazio per le mondanità. Il confronto con Riina diventa un monologo dove l’accusatore viene accusato della sua poca moralità, le sue molte mogli e figli segnano la vera distanza con il moralismo bigotto del suo interlocutore. Un personaggio bigger than life che poteva mangiarsi il film a scapito del contesto ma che invece resta un ritratto di un uomo sconfitto dalla vita ma che morirà nel suo letto.
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