Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Ritratto di un gangster sofferente, tormentato dai fantasmi, intrappolato nella cella del rimorso e del rimpianto. L'eccessiva prevalenza del dramma sull'analisi storica, qualche svarione e il desiderio di strafare di regista, interprete e sceneggiatori penalizzano il film, che resta comunque un discreto lavoro. Voto 6 e mezzo.
Nella festa di Santa Rosalia entrano in scena i personaggi principali della vicenda, fotografati, letteralmente, in un momento di quiete che precede i tempestosi eventi che di lì a poco stravolgeranno il loro mondo : con un simile incipit l'ambizioso Bellocchio cita le scene d'apertura dei capolavori di Visconti, Coppola, Cimino; ma il suo "Traditore" è solo un piccolo film su un grande tema, non ha il respiro epico e la grandiosità tragica di gattopardi e padrini che traggono linfa vitale dalla grande letteratura, o di cacciatori votati alla sconfitta con tutta la loro generazione. Nella parte brasileiro-suramericana del film il registro si sposta più verso le serie tv come "Narcos" che sul grande cinema, e la persuasiva tortura elitrasportata soddisfa tutti i criteri della definizione "americanata". Il Maxi-processo di Palermo, titanica sfida di un manipolo di coraggiosi rappresentanti dello Stato alla mafia, avrebbe meritato maggiore profondità di analisi; sarebbe stato giusto enfatizzare l'importanza del sistema dei pentiti, di cui Buscetta fu il simbolo, per minare il cardine di Cosa Nostra, l'omertà; ma il regista preferisce soffermarsi sugli aspetti più teatrali della vicenda, dipingendo il protagonista come una figura shakespeariana, visitata da spettri che lo inchiodano alle sue responsabilità o lo spingono ad agire, vendicandoli nell'unico modo che gli è rimasto. Favino richiama la figura di Buscetta soprattutto grazie ad una certa somiglianza nella struttura fisica, interpreta diligentemente la sua parte ma rovina (quasi) tutto cercando di creare un accento spurio tra il siciliano e il portoghese che corre il concreto rischio di richiamare alla mente non un terribile signore del crimine decaduto, ma piuttosto uno dei personaggi farseschi dalla parlata esilarante in cui è maestro Diego Abatantuono, da "Eccezzziunale veramente" a "Il barbiere di Rio"; un difetto non da poco che stride clamorosamente con il tono, e l'importanza, del tema trattato. Memorabile, invece, l'aneddoto del padre che non si separa mai dal figlio, un racconto minimo ma perfetto, dal finale sapientemente svelato solo al termine del film, di cui diviene il cuore e la chiave interpretativa.
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