Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Bellocchio e i suoi cattivi maestri
«Es la historia de un amor, como no hay otro igual. Que me hizo comprender todo el bien, todo el mal».
Cosa Nostra come un teatrino grottesco e surreale, a cui uomini in toga nera assistono spaesati. Al maxi-processo i compagni di un tempo si alternano uno dopo l’altro di fianco alla star, che tiene loro testa come uno stand-up comedian d’altri tempi (anche se seduto dietro a quinte antiproiettile): Tommasino Buscetta si trasforma in un personaggio dalla caratura tragica (affascinante e di plastica come Mickey Rourke), a cui la mafia uccide fratello e cognato, figli e nipoti. Bellocchio attraversa ancora una volta la storia assumendo il punto di vista dei ‘cattivi’ (dopo i brigatisti di “Buongiorno, notte” e il Mussolini di “Vincere”), e ancora una volta ne esce indenne, non concedendo nulla a possibili ambiguità: al tempo di baracconate tv alla “Gomorra” e “Suburra”, il suo rigore morale rimane assoluto. Come è assoluto il suo cinema, da vedere – assolutamente – su grande schermo. Bellocchio dilata e accelera il tempo: i numeri scattano come contatori, al passo con gli omicidi che irrompono sulla scena truculenti; i lunghi dialoghi, tutti fondamentali, rallentano la narrazione e ci immergono nella personalità complessa di questo boss dei due mondi, mai pentito nonostante abbia tradito. Anche la mafia dilata disumanamente i tempi e attende le sue vittime, come l’assassino che si nasconde nell’ombra (e nella menzogna), a dirci sul finale che non esistono mafiosi buoni.
Nonostante il tempo, più di ogni altra resta viva, nella memoria, l’immagine di una macchina che esplode nel vuoto, rotea e si accartoccia a terra, come una foglia squassata dal vento. E anche noi siamo dentro quell’abitacolo.
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