Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
La potenza dell’ultimo film di Bellocchio che ha incantato Cannes (tredici i minuti di applausi al termine della proiezione) sta nel connubio tra immagini e dialoghi, una cosa oggigiorno rarissima. Laddove un regista, riesce ad equilibrare le parole con le immagini, riesce ad accaparrarsi, automaticamente, il benestare del novanta per cento degli spettatori paganti.
Nonostante il rischio di incappare nel solito argomento trito e ritrito, come può esserlo il racconto della parabola di un mafioso/pentito/uomodonore, la modalità che Bellocchio decide di usare per narrarne le gesta è vincente. Si concentra solo su un periodo, seppur neanche troppo breve, della vita di Masino Buscetta, utilizzando pochissimi flashback narrativi, utili a far comprendere la persona e il personaggio raccontato, senza lasciare spazio al giudizio.
Ovviamente la buona riuscita di questo film non si deve solo alla sceneggiatura ben costruita ma anche all’ottima interpretazione di Pierfrancesco Favino che, ancora una volta, non delude. Il suo immedesimarsi in Buscetta riesce a calibrare il carattere del personaggio che cela la persona, donandogli un’umanità, a tratti eccessiva ma senza dubbio necessaria per ammorbidire lo spettatore che, abbagliato dal titolo accusatorio, finirebbe per pregiudicarne la visione.
L’altro aspetto positivo è la capacita del regista di rimanere all’interno di un lasso temporale ben delimitato da confini oltre i quali non si scavalca mai, evitando così non solo inutili voli pindarici ma anche ostentazioni di perbenismo che sarebbe risultate non congrue alla narrazione. Esempio: si parla e si mostra il rapporto tra Buscetta e Falcone e pur trattando il Maxi Processo il nome di Borsellino non viene mai fatto. Questo non solo dimostra che Bellocchio sa bene di cosa vuole parlarci ma anche che conosce profondamente ciò che ci racconta, nei minimi dettagli.
Nonostante la poderosa durata e l’impegnativo argomento, il film di Marco Bellocchio fa bingo! Quando lo spettatore lascia la sala, non può che lodare il lavoro del regista emiliano che permette riflessioni profonde ed inevitabili constatazioni.
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