Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Buon film sulla vicenda del pentito Tommaso Buscetta, innalzato ad un livello superiore dall'interpretazione magistrale di Pierfrancesco Favino.
72 Festival di Cannes 2019
In concorso
Bellocchio rende appassionante la vicenda di Tommaso Buscetta, il principale pentito della storia mafiosa, le cui rivelazioni al giudice Falcone diedero il via al maxi-processo contro Cosa Nostra e, successivamente, all'indagine su Giulio Andreotti. Bellocchio racconta la vicenda con stile teso e compatto, senza fare del suo protagonista né un mostro né un eroe, seppur abbandoni a tratti la verosimiglianza con qualche forzatura spettacolarizzante (la moglie brasiliana sospesa da un elicottero in volo sull'oceano, la manifestazione per i vicoli di Palermo coi cartelli “Viva la mafia che ci dà il lavoro”, il maxi-processo rappresentati come una sceneggiata teatrale, che, se da un lato intrattiene e diverte, dall'altro non appare certamente una ricostruzione storica accurata).
Ciò che fa fare al film un salto di qualità è però la grandissima prova di Pierfrancesco Favino che, recitando fluente in siciliano e portoghese, dà vita ad un Buscetta criminale ma profondamente umano, dolente per le tragedie che decimano la sua famiglia (al punto che la tessa sorella lo rinnegherà paragonandolo a Giuda Iscariota, il traditore per antonomasia), ma sempre in qualche modo autorevole nella sua figura di boss (sebbene egli si definisca soldato semplice), anche quando, da collaboratore di giustizia, si rapporta con il giudice Falcone. Tra tutte, nella scena del primo confronto con Pippo Calò nell'aula del maxi-processo, Favino raggiunge il massimo dell’intensità. Bravo pure Luigi LoCascio nel ruolo di Contorno.
Nonostante abbia primeggiato per durata dell’applauso in sala al Palais, superando persino Tarantino, non mi pare il film possa aspirare alla Palma d'oro, ma piuttosto al premio per la migliore interpretazione maschile.
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