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Santiago, Italia

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Santiago, Italia

di darkglobe
8 stelle

Ascoltare le testimonianze del passato per comprendere il presente

Debbo ammetterlo: sono andato a vedere quest’ultimo lavoro di Moretti decisamente prevenuto, vuoi per aver dato credito ad alcune recensioni non troppo positive lette su quotidiani e testate di settore, vuoi perché temevo che si trattasse di una ricostruzione del golpe cileno più figlia di una sorta di autocompiacimento cinematografico, lontano dunque dalla raccolta delle testimonianze di chi c’era, che un vero documentario.
Ebbene in entrambi i casi mi sbagliavo: Santiago, Italia è un docu-film decisamente interessante, coeso, ben filmato e con un montaggio eccellente che interpone, con intelligenza e stile, interviste frontali a filmati d’epoca e suddivide in maniera strutturalmente lineare i temi trattati.
Lo scopo, lo si intuisce da subito, non è quello di una ricostruzione storica degli eventi, aspetto che avrebbe richiesto ben altro tipo di soluzioni cinematografiche, ma vivere quanto accadde attraverso ricordi, parole, umori e sentimenti dei diretti protagonisti, intervistando un ventaglio multiforme di testimoni su quanto accadde a Santiago: tra questi la regista Carmen Castillo, il traduttore Rodrigo Vergara, il regista Patricio Guzman, l’artigiano Arturo Acosta, gli imprenditori Erik Merino, Stefano Rossi e Ivan Collado, l’operaio David Munoz, l’avvocato Carmen Hertz, il professor Leonardo Barcho, i diplomatici italiani Piero De Masi ed Enrico Calamai (il nostro mitico “Schindler di Buenos Aires”), il medico Maria Luz Garcia, il muralista Eduardo Carrasco, il musicista José Seves nonché Eduardo Iturriaga, ex generale dell'esercito.

Il tema viene affrontato in maniera mai pedante (tipico rischio dei documentari di genere) e dalle testimonianze emergono alcune questioni cruciali relative al golpe cileno e a quanto ne seguì, senza il rischio di ambiguità e con un amore per la verità dei fatti, nonostante la dichiarata partigianeria dello stesso regista, che lascia poco spazio a libere interpretazioni. Moretti sembra quasi scomparire, episodicamente si sente la sua voce quando qualche testimone di commuove, ma è pienamente apprezzabile il suo entrare “in punta di piedi” su questi argomenti per non urtare la sensibilità sia di chi racconta che dello spettatore stesso.

Le ingerenze statunitensi
Il film parte descrivendo la vittoria alle elezioni presidenziali cilene del 1970 di Salvator Allende con la Unidad Popular. La preoccupazione di alcuni settori della borghesia ricca, degli industriali e soprattutto degli Stati Uniti è in quel periodo storico elevata, al punto che durante la campagna elettorale gli ultimi hanno copiosamente finanziato una violenta campagna di delegittimazione di Allende con tutti i mezzi praticabili, vedendo di cattivo occhio l’insediamento di un regime di stampo socialista.
Arrivato al potere Allende, come riferisce un testimone, si preoccupa da subito di effettuare alcune riforme a favore dei gruppi sociali più deboli, combattendo analfabetismo e facendo sì che per ogni cittadino sia garantita gratuitamente un razione minima giornaliera di latte.
Il documentario di Moretti mette in evidenza la discussione di allora tra chi intendeva portare avanti le riforme il più rapidamente possibile e chi temeva che una eccessiva accelerazione avrebbe provocato la violenta reazione delle classi più abbienti. La mossa che segna probabilmente la condanna politica di Allende è la nazionalizzazione delle miniere di rame, sottraendole agli USA senza alcuna compensazione finale.

La fiducia incrollabile di Allende e la sua ingenuità

Questo è quanto emerge sia dal documentario di Moretti che, per chi ha avuto modo di vederlo, dall’Intervista a Salvador Allende: La forza e la ragione di Roberto Rossellini. Il presidente cileno e i suoi fedeli trascurano le voci che parlano di un imminente golpe, errore legato probabilmente ad una fiducia incrollabile nella fedeltà dell’apparato militare e soprattutto nel meccanismo democratico.
Un suo discorso di sfida a coloro che ne chiedono le dimissioni di fronte alle progressive difficoltà dell’economia nazionale ne è testimonianza, quando lo stesso presidente afferma pubblicamente che porterà avanti il suo mandato democratico fino alla naturale conclusione e che nessuno potrà contrastare la volontà popolare.


I boicottaggi, il mercato nero
Un testimone parla dei prezzi dei beni alimentari primari che via via lievitano, finendo sul mercato nero, nonostante ne sia stato imposto per ordinanza un calmiere: appare chiaro che il metodo di pressione più convincente contro il governo di Unidad sia giocare a strozzare economicamente il paese, portando in sofferenza le masse, sia internamente che dal punto di vista dell'oscillazione sui prezzi di mercato imposte al bene minerario nazionalizzato.

I bombardamenti, La guerra civile evitata

Impressionante è la ricostruzione della giornata del colpo di stato dell'11 settembre 1973, di cui la gente inizia ad aver sentore ascoltando fin dalla mattina strani annunci radiofonici, con la minaccia finale dell’esercito, poi messa in atto, del bombardamento de La Moneda, il palazzo presidenziale. Così come desta stupore e rabbia riascoltare l’ultimo annuncio radiofonico di Allende che dichiara di farsi da parte per il bene del paese.
Ancora oggi, riferisce un testimone, c’è il dubbio tra l’ipotesi del suicidio e quella dell’omicidio finale, ma è chiaro che l’intento presidenziale sia quello di evitare una guerra civile, sacrificando il popolo cileno a cui preconizza per radio un futuro con naturale ritorno alla normalità. Purtroppo, contrariamente alle speranze, la dittatura durerà diciassette anni e annovererà migliaia di giustiziati, torturati, imprigionati, esiliati, desaparecidi.


Bruciano i libri, Il carcere, le torture, l’oscurantismo

Il documentario riporta immagini dello Stadio Nazionale, trasformato in un enorme carcere nel quale vengono condotti migliaia di civili. Riferisce uno dei diplomatici italiani di aver personalmente visto giovani militari affermare di sentirsi potenti con una pistola in mano ed altri ringraziare chi si stava suicidando evitandogli la seccatura dell’esecuzione.
I primi tre giorni molti degli arrestati vengono lasciati senza cibo, altri vedono plotoni di esecuzione con alcune vittime schierate di spalle lungo le pareti dello stadio.
Altre immagini di repertorio mostrano l’incendio di libri, ennesimo segno dell’oscurantismo più feroce, sia fisico che culturale, portato avanti dalla dittatura militare.
Infine vi è la questione delle torture e dei desaparecidos. Su questo tema emblematica la testimonianza di chi ha perdonato, con la lecita comprensione della debolezza di coloro che erano finiti sotto tortura, le delazioni sul proprio conto e di una donna che ha resistito alle peggiori umiliazioni fisiche e morali: racconta di essere stata denudata da una carceriera e poi portata nella stanza delle torture alla presenza di 4 uomini ma di essersi probabilmente salvata per aver insegnato - lo si intuisce - ad una delle peggiori carceriere in stato di gravidanza, a ricamare a maglia.
L’approfondimento si ferma qui, forse la parte meno eplicita dell’intero documentario, che dà per scontato l’orrore e il processo di sterminazione collettiva operato da queste unità semi illegali. A chi voglia approfondire il tema valle la pena consigliare la lettura di “Desaparecido. Memorie da una prigionia” di Mario Villani e Fernando Reati.

Il parere dei "cattivi"

Qui Moretti fa qualcosa che è tipicamente alieno dai documentari di genere, ovvero intervistare un paio di esponenti delle gerarchie militari, uno oggi libero e l’altro in carcere a scontare una condanna. Il primo, Iturriaga, afferma che rifarebbe "esattamente le stesse cose", in quanto il golpe servì a bloccare quella che a suo dire era la violazione della carta costituzionale da parte di Allende ed affermando che il 36% di maggioranza non era sufficiente a giustificare la guida del paese. All’obiezione di Moretti che “questa è la democrazia” l'intervistato continua a dichiarare il comportamento di Allende non conforme alla costituzione cilena esplicitando che le gerarchie militari non si occupavano di politica. Il secondo, in carcere, si considera una “vittima”, minimizza sulle torture, definite come episodi marginali e ad un certo punto si stufa delle pur blande domande del regista interrompendo l’intervista

 

L’ambasciata italiana ed il ruolo della Chiesa

Questo è l’elemento del film che inorgoglisce maggiormente noi italiani, grazie al racconto del ruolo svolto dall’ambasciata italiana nel salvare migliaia di perseguitati politici che riescono a scavalcavare con azioni di fortuna il muro dell’ambasciata per scaraventarsi nel giardino antistante, con la speranza che dall’altro lato vi sia qualcuno pronto a recuperarli e che in quel momento non passino militari cileni.
I racconti sono un misto di ricordi divertiti e allo stesso tempo drammatici, quando ad esempio si narra di una bambina lanciata come un sacco dall’altra parte del muro o quando, a chi chiede alle persone che si intravvedono dal cancello se quella sia l’ambasciata italiana, segue come risposta il suggerimento a far presto e a scavalcare subito il muro. Emblematica la scelta autonoma e coraggiosa dell’ambasciata di accogliere il più possibile rifugiati a fronte della mancanza di risposte da parte del corrispondente ministero italiano a cui i diplomatici si rivolgono per aver lumi sul da farsi.
Encomiabile in questa storia anche il ruolo della Chiesa, con il racconto ad esempio di due suore che salvano, camuffandosi da normali cittadine, uno dei registi in procinto di essere catturato.



I diritti e l’accoglienza nell’Italia dell’epoca
Siamo alla parte conclusiva del film di Moretti. Sembra si parli di un’Italia altra tale è la lontananza dall’attuale. Emerge dai racconti dei cileni l’immagine di un’Italia solidale, con una sorprendente capacità di accoglimento, di smistamento ed impiego rapidi dei rifugiati, inquadrati “regolarmente” e valorizzati sulla base delle esperienze professionali pregresse, senza contestazioni sul fatto che tali immigrati potessero “togliere lavoro agli italiani”. Qualche testimone arriva a parlare del Cile come matrigna e dell’Italia come patria adottiva ed accogliente. Ne scaturisce l’immagine di un paese di cui quello attuale è un'ombra sbiadita nel quale diritti del lavoro e solidarietà appaiono sostituiti da precarietà ed individualismo.

C’è poco da aggiungere se non consigliare la visione di questo film a chi voglia riprendere in mano il filo della storia cilena attraverso le testimonianze di chi quella storia l’ha vissuta e senza le quali è difficile se non impossibile interpretare sia i fatti del passato che riuscire a comprendere il presente, anche quello più propriamente italiano.

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