Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
"Era un paese innamorato di Allende e di ciò che stava succedendo. Era fantastico, era giusto, era bello"
Noi l’abbiamo visto arrivare, era un mite settembre del ’73, eravamo ancora al mare, si sfogliava Paese sera e leggemmo di Allende, di Pinochet, nomi che non sapevamo, a quell’età cosa potevamo sapere di Cile, di democrazie difficili sudamericane massacrate dal capitalismo imperialista statunitense, di Kissinger e CIA, di gente che lottava per l’uguaglianza e la libertà, che l’aveva trovata e poi gliel’avevano tolta a colpi di massacri, desaparecidos, bombe dal cielo e torture sulla terra?
Noi andammo a gridare nelle piazze, a sventolare bandiere rosse, a sentire gli Inti Illimani negli stadi.
“Y el pueblo unido Jamás será vencido” era la nostra canzone, eravamo un altro popolo, allora, caldo, accogliente, solidale, con i nostri guai, e ne sarebbero arrivati anche di peggio, ma riuscivamo ancora a sentirci umani.
E Nanni Moretti oggi ce lo racconta come eravamo e come siamo diventati, e parte dall’altra sponda dell’Oceano, da una striscia di terra fra la Cordigliera delle Ande e il mare.
“La nostra terra somiglia ad una spiaggia gigante con alle spalle la montagna, una lingua di terra fra il mare e le vette della cordigliera, un paese ed un popolo aggrappati ad un angolo del mondo, senza nulla né davanti né dietro” dice Sébastian Lelio, punta di diamante della nuova generazione di registi cileni della Novissima Escuela de Cine di Santiago,nata dopo la caduta della giunta militare e la diaspora del grande Nuovo Cinema della stagione di Allende.
"Credo che la memoria abbia una forza di gravità che ci attira sempre. Quelli che hanno memoria sono capaci di vivere nel fragile tempo presente. Quelli che non ce l'hanno non vivono da nessuna parte. Ogni notte, lentamente, impassibile, il centro della galassia passa sopra Santiago. "
E’ la voce di Patricio Guzmán, grande regista di quella generazione perseguitata, chiusa nello stadio di Santiago o nella famigerata Villa Grimaldi e salvo per miracolo.
Nessuno di quegli uomini e donne dimentica, allora erano solo ventenni, trentenni, alcuni ancora bambini, e Moretti li allinea in un lungo nastro che raccoglie le loro voci di oggi, e ad alcuni ancora trema la voce raccontando.
Quattro capitoli, si parte dal triennio di Allende, “ Era un paese innamorato di Allende e di ciò che stava succedendo. Era fantastico, era giusto, era bello”.
Le immagini dell’epoca parlano di ragazzi, uomini, donne sorridenti, festanti, convinti che si possa essere uguali e felici.
Moretti non si dilunga in ricostruzioni storiche e analisi politiche, tutto è stato detto e visto, ormai.
Fa altro, ci porta tra gente come noi, operai e artigiani, casalinghe e giornaliste, anche nomi illustri, artisti, cineasti, ma tutti come noi a raccontarci storie ed emozioni di un tempo che sembra tanto lontano.
Lui resta defilato a guardare da un belvedere sopra la città di grattacieli e strade, poche volte sentiamo la sua voce che fa domande, una sola volta lo vediamo che dice ad un ex golpista in carcere che reclama imparzialità nell’intervista:“Io non sono imparziale” e ci scapperebbe l’applauso, ma al cinema non si applaude.
Il secondo capitolo ci immerge nello strazio di un sogno che finì all’improvviso con l’aeronautica che bombardava La Moneda, il palazzo del governo del proprio Paese.
Allende appare poco, quanto basta per rivedere quel viso di buon padre e riascoltare il suo ultimo discorso.
https://www.youtube.com/watch?v=GRVJEVMdUBc
Nel capitolo centrale si ricordano frammenti di quei giorni, la paura, le fughe, le torture e l’Ambasciata d’Italia, l’unica a restare aperta ad accogliere i rifugiati.
“Non entravano in maniera normale. Arrivavano e saltavano dentro”, ricorda il diplomatico Piero De Masi, “il mio ministero non mi diede istruzioni, così decisi di tenerli tutti”.
I racconti del salto del muro di cinta diventano a volte, paradossalmente, perfino umoristici, alla distanza l’orrore si depura e si riesce anche a sorridere.
E infine si parla dell’Italia, della grande mobilitazione di quegli anni, di partiti politici di tutto l’arco costituzionale pronti ad accogliere i profughi, di gente comune che dava le proprie case dove per anni i Cileni vissero con le valigie pronte per il ritorno.
Per molti il ritorno non c’è più stato, ci si radica nei posti, nascono figli che non sanno nulla di quel passato, si acquistano identità nuove.
Il Cile per molti rimane un brutto passato, l’Italia un presente che sta diventando come il Cile di allora, quando un bel sogno di pace e libertà fu calpestato dall’individualismo, dalla sopraffazione, da poteri forti uniti contro la volontà democratica del popolo e da una stampa collusa che batteva ogni giorno la grancassa contro le riforme di Allende.
“Era un paese innamorato di Allende” e oggi Rodrigo Vergara, traduttore, è costretto a dire: “Sono arrivato in un paese che era molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì, oggi vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle sue cose peggiori”.
Forse Violeta è davvero fuggita a los cielos, chissà se riuscirebbe ancora a ringraziare la vita?
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