Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Preceduto da una di quelle consuete strombazzate mediatiche da fanfare spiegate e tappetti rossi spiegati, va subito detto che, per valutare Joker, si dovrebbe cercare di smarcarsi da tutti questi opprimenti condizionamenti e vederlo finalmente per quello che è. Un film discreto, a tratti trascinato, a tratti fin quasi esaltante, ma non certo un nuovo capolavoro di genere.
Un film discreto e molto, molto furbetto che vorrebbe farci credere di portare in nuce un qualche profondo messaggio quando in realtà (quasi) tutto si riduce all’istrionica prova di Phoenix, assoluto dominatore dello schermo per tutte e due le ore di durata. Non fosse per la sua ottima interpretazione del film di Phillips rimarrebbe poco, per non dire nulla. Meglio: se non fosse per la sua eccellente prova del film non rimarrebbero altro che gli innumerevoli difetti, almeno in parte messi invece in ombra, per l’appunto, dall’“ingombrante” figura dell’attore americano.
Perché Joker (spiace deludere i fan più entusiasti) ha poco da dire di nuovo e anche quello che dice lo dice con un buon numero di semplificazioni e banalità da alzata di sopracciglio spasmodica.
Gli piacerebbe (e lo si capisce sin da subito, dalla fotografia, dall’ambientazione, dal “clima” che si respira) essere realistico, profondo e sfaccettato, ma per la verità lo è molto di meno di tanti capolavori dei comics ai quali, volendo, avrebbe potuto ispirarsi (questo per scansare qualunque possibile fraintendimento, ovvero qualunque possibile lapidaria affermazione del genere “stessa profondità d’un fumetto”, perché è ora di superare il binomio fumetto-banalità che ancora, pare, annebbia le menti di molti critici…).
Dunque, no, non è banale e semplificatorio perché basato su un fumetto, ma lo è a causa della (come già detto, astutissima) sceneggiatura del regista e di Scott Silver che, col passare del tempo, si lascia sempre più prendere la mano fino a strabordare in un finale che è un apoteosi dell’improbabilità e, insieme, del furbesco ammiccamento (del genere che ultimamente va di moda incitare alla rivoluzione dagli alti scranni della Hollywood dei blockbuster dove, si capisce, ad importare a produttori e affini è unicamente l’“elevazione culturale/spirituale” degli spettatori).
Senza contare che, per arrivare lì, si procede linearmente per una serie di sedicenti colpi di scena che risultano per la gran parte ampiamente prevedibili (in particolare per la loro suprema inverosimiglianza che porta da subito a sollevare il proverbiale sopracciglio di cui sopra e a svelare sin troppo rapidamente l’“arcano” [è il caso sia della “rivelazione” in merito alla relazione di Arthur sia di quell’altra riguardante la madre dello stesso]) e per una serie di continui ammiccamenti in questo caso del genere “fumettistico”, solo per “veri fan” (un esempio: quello del per un momento supposto rapporto tra l’antieroe e il grande eroe ancora imberbe), che portano ad un buon numero di “depistaggi” e “deviazioni” che hanno l’ulteriore, chiaro, obiettivo di rendere la storia più “intricata” ma che invece non riescono minimamente a celare la già citata prevedibilità del tutto.
Meglio non accanirsi troppo, poi, sull’assoluta semplificazione che regna sempre imperante (giusto per fare un esempio che valga per tutti, mi limiterò a chiedere: ma chi diamine li scrive i discorsi di questo Thomas Wayne in versione abbruttita?).
In definitiva, la regia di Phillips è alquanto anonima, la sua sceneggiatura lascia il tempo che trova e dunque del film rimangono la bella fotografia, un paio di scene di un certo impatto (la migliore è probabilmente quella sulla scalinata) e, non c’è quasi bisogno di ribadirlo, la magistrale interpretazione di Phoenix di cui si è giustamente fatto gran parlare. Ma per il resto, come si suol dire, “tanto rumore per nulla”.
P.S.:
Sinceramente un poco ridicole le polemiche circa la violenza, non poi così estrema, e in particolare circa la rappresentazione della malattia mentale (insomma, parliamo del Joker, che cosa si aspettavano, una “pubblicità progresso”?). Totalmente immeritato, infine, il Leone d’Oro a Venezia, frutto di un compromesso piccolo piccolo scaturito, è altamente probabile, dall’incapacità di una certa presidente di distinguere tra l’autore (nei confronti del quale si può pensare ciò che si vuole) e la sua opera (volendo esagerare è come se al famigerato “omicida” Caravaggio si negasse di aver creato degli autentici capolavori dell’arte).
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