Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Ottime le caratterizzazioni psicologica (del personaggio) e sociopolitica (del contesto); una scintilla di cinema militante.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
La risata che squarcia i sobborghi di Gotham City è la stessa risata trattenuta da ogni singolo individuo che compone il substrato sociale della metropoli, nella quale le diseguaglianze non sono mitigate da una dovuta preoccupazione da parte delle élite. Quale altro modo di liberare gli oppressi se non rendere evidente la debolezza dell’autorità?
Bisogna partire da questo preambolo per cogliere a pieno la grandezza del Joker di Todd Phillips; vanno individuate le due anime del film per comprendere non solo come queste interagiscano tra di loro alla ricerca di un equilibrio che forse neanche raggiungono, ma soprattutto per carpirne le conseguenze potenzialmente sovversive. Infatti, nell’opera convivono il dramma introspettivo, la lenta discesa nella follia di un protagonista vessato dal sistema, quindi la denuncia sociale, arringata dal regista in un terzo atto di una potenza inaudita, una sinfonia del caos messa in scena con la complicità delle musiche di Hildur Guðnadóttir e, neanche a dirlo, della strepitosa performance attoriale di Joaquin Phoenix.
Phillips è riuscito a riesumare l’estetica e la forza contestatrice di un certo tipo di cinema che si faceva nella New Hollywood degli anni settanta, pescando a piene mani soprattutto dal Taxi Driver di Martin Scorsese: dagli appartamenti squallidi ed angusti allo smog destinato a chi dai grattacieli può solo farsi schiacciare sui marciapiedi, Joker racconta di una società profondamente malata e di come questa plasmi le persone, della violenza come unico atto di comunicazione possibile per chi non viene mai ascoltato, ma solo deriso. I colori e le luci, magistralmente gestiti dal direttore della fotografia Lawrence Sher, si desaturano ed appiattiscono a favore della maschera e del costume dell’antieroe, sberleffo alla realtà grigia e mediocre nella quale è costretto a muoversi.
L’evoluzione psicologica del protagonista viene ben accompagnata da una sceneggiatura che si poggia solidamente su pochi antefatti e molti elementi disturbanti che contornano la vita di Arthur Fleck (il sistema sociale, appunto), dallo stile visivo già descritto in precedenza e da un Phoenix in stato di grazia, calatosi mimicamente nella parte sia da un punto di vista fisico che psichico. Nonostante ciò, a lasciare maggiormente il segno è la caratterizzazione del contesto sociopolitico e quella scintilla di cinema militante che questo Joker vuole revitalizzare: gli Stati Uniti della sanità privata e delle armi liberalizzate non sono tanto lontani dall’impietoso paesaggio umano tratteggiato nell’opera di Phillips.
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