Regia di Todd Phillips vedi scheda film
"Per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente...ma esisto! E le persone iniziano a notarlo."
L'invisibilità sembra essere una malattia sempre più diffusa oggigiorno, non più una prerogativa di Chevy Chase nel film di John Carpenter. Invisibili allo Stato, alle istituzioni, alla politica, a una classe dirigente sempre più autoreferenziale e arroccata nei propri paradisi terrestri (e fiscali) lontani dai quartieri popolari. Invisibili all'informazione pubblica, allo splendente (ma marcio dentro) mondo dello spettacolo, all'opinione pubblica, alla coscienza collettiva. Invisibili al mondo esterno. Un esercito di cittadini ripiegati su se stessi, privati di scopo e prospettive, rintanati nelle loro tane, lasciati soli da un welfare state insufficiente, trattati con classismo e intolleranza da chi sta più in alto nella piramide sociale, esposti continuamente a un'esistenza mediocre e logorante. Merito di un capitalismo straccione che, a partire dagli anni '80 (il film è ambientato nel 1981, ma potrebbe tranquillamente riferirsi ai nostri giorni, non fosse per le auto d'epoca e la quasi assente digitalizzazione) si è cullato nell'ipocrisia delle teorie neo-liberiste, le quali promettevano un benessere crescente di cui tutti avrebbero beneficiato e la possibilità per tutti di scalare classe sociale a patto ovviamente di incentivare selvaggiamente l'iniziativa privata, di ridimensionare il ruolo dello Stato nell'economia e di togliere fondi all'amministrazione pubblica. La solita vecchia, Smithiana storia dell'interesse individuale che si tramuta magicamente in una mano invisibile capace di guidare l'economia verso uno sviluppo vantaggioso per tutti. Le solite balle. Di quella ventata edonistica e arrivista ne beneficiarono in pochi, il divario sociale tra le classi aumentò a dismisura e lo sviluppo incontrollato della finanza ai danni dell'economia reale ci condusse alla sanguinosa crisi del 2008, di cui pagarono lo scotto soprattutto le fasce più deboli. Ciò che abbiamo ereditato sono stati malcontento e disagio crescenti, ma non solo. Possiamo ormai definirci tutti figli degli anni '80: anni di riflusso nel privato, di consumismo, di ricerca spasmodica del successo personale (spesso a scapito di altri) e del profitto, anni di vacua apparenza e di stili di vita insostenibili, di cui tuttora paghiamo il prezzo. E se oggi l'individuo è pericolosamente chiuso, indifferente a ciò che gli accade intorno, concentrato nella promozione della propria immagine (a maggior ragione con l'avvento dei social network) a scapito del resto e predisposto ad una competizione continua, in ogni ambito della sua vita, che non fa altro che incentivare conflitti individuali che si ripercuotono poi sul collettivo, possiamo solo disperarci di ciò che abbiamo creato.Arthur Fleck è un individuo alienato e con problemi psichiatrici, che vive in un appartamento popolare con l'anziana madre, lavora come clown ed è affetto da una grave forma di depressione. Ma è anche e soprattutto una persona emotivamente fragile, che porta il marchio di un'infanzia macchiata da violenze e abusi e dalla mancanza di un padre. Unici momenti di conforto per lui sono i fugaci incontri con la vicina Sophie, di cui è infatuato ma a cui non osa dichiararsi, e le puntate del Murray Franklin Show, il cui presentatore è il suo idolo da sempre. Il suo sogno di diventare un comico professionista si scontra con la mancanza di talento e le frustranti vicissitudini della sua vita, fino a che le continue vessazioni subite, le umiliazioni inflittegli da chi sta meglio di lui e l'indifferenza di chi lo circonda, unite ad alcune dolorose scoperte sul proprio passato, lo faranno impazzire del tutto trasformandolo nel noto criminale e arcinemico storico di Batman: il Joker.Per Todd Phillips, precedentemente regista di commedie di grana grossa (bel salto qualitativo per lui), Arthur Fleck/Joker non è un supercattivo spuntato da una vasca di rifiuti tossici, bensì il prodotto storico di una civiltà (quella occidentale) in preda a una deriva morale e umana senza precedenti. L'individualismo esasperato a cui siamo esposti ci ha resi aridi di sentimenti e privi di empatia nei confronti del prossimo: in 123 minuti di film sono soltanto due i personaggi che mostrano a Fleck sentimenti di comprensione e non di dileggio. Il resto dei cittadini di Gotham pare non accorgersi del suo silenzio disperato e, quando lo fa, non si esime dal ricacciarlo ancora più in fondo nel baratro della sofferenza. Dal datore di lavoro che gli fa mobbing ai colleghi falsamente amichevoli e voltafaccia (curioso come gli altri "comici" che appaiono nel film basino i propri numeri quasi interamente sul dileggiare gli altri in maniera becera e velenosa), dai benestanti della città che lo considerano un buffone disadattato agli abitanti dei bassifondi che lo bullizzano, dalle persone comuni che lo guardano con astio e diffidenza al pubblico televisivo e da cabaret che ride di lui. Una Babele umana regolata dalla semplice legge "homo homini lupus". Dopotutto, secondo Thomas Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica e a determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione. Egli nega che l'uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco. Tutto ciò rappresenta una miscela esplosiva per una personalità disturbata e narcisistica come quella del protagonista, colpevolmente lasciato senza assistenza psicologica a causa dei continui tagli alla spesa pubblica, una situazione purtroppo frequente per chi non ha mezzi sufficienti per poter badare alla propria salute, fisica e mentale. Il punto di non ritorno è rappresentato dall'omicidio di tre yuppies in una metropolitana che lo aggrediscono per puro divertimento: alla condanna da parte delle autorità e delle cariche pubbliche si contrappone il favore dell'opinione pubblica, sempre più intollerante ai privilegi dei ricchi e incattivita da una situazione vicina al collasso. La risposta della politica alla rabbia cieca della folla si rivela insufficiente, se non dannosa, innescando una spirale di disordini e violenze che metteranno a ferro e fuoco la città e le vite dei suoi abitanti. Il merito più grande del film è quello di essere la truffa più colossale del cinema mainstream contemporaneo: presentato in sala come una origin story sul villain più iconico del mondo dei fumetti, cinema apparentemente destinato a saziare la fame di intrattenimento spicciolo di una massa di spettatori che ha spento il cervello già da tempo, si è rivelato invece un clamoroso film drammatico d'autore che recupera la lezione scorsesiana di "Taxi Driver" e "Re per una notte" proponendola a un pubblico completamente disabituato a certe tematiche e certi ritmi narratvi, riducendo al minimo i riferimenti al fumetto e mantenendo della confezione blockbuster soltanto la fotografia. Scommessa ampiamente vinta: lo dimostrano l'accoglienza trionfale con tanto di Leone d'Oro al Festival di Venezia e le sale piene. Non tutto è oro quel che luccica: la parte meno interessante del film è proprio quella biografica relativa al personaggio (anche se "Joker" potrebbe fungere perfettamente da prequel iperrealista della già realistica Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan) e pertanto si sa già dove si andrà a parare, mentre la regia di Todd Phillips è attenta ma fin troppo ossequiosa nei confronti del cinema di Scorsese (senza tuttavia lambire quei livelli di grandiosità e profondità). E' però apprezzabile la volontà di mantenere una certa ambiguità tra l'azione reale e ciò che viene immaginato dalla mente malata di Arthur Fleck, così come le esplosioni improvvise di violenza sono al tempo stesso inquietanti e catartiche. Ma a reggere il film sulle proprie spalle è il talento immenso e cristallino di Joaquin Phoenix (Oscar in arrivo? Lo meriterebbe già da tempo): semplicemente viscerale, completamente devoto al ruolo da interpretare, immerso alla perfezione in un personaggio che suscita al tempo stesso pena e inquietudine, con una risata indistinguibile dal pianto. La sua discesa negli inferi della follia è un viaggio tremendo nel senso di colpa di una società che genera mostri sulla pelle dei più deboli. Da sottolineare anche l'ottima prova di un ritrovato Robert De Niro, qui in un ruolo simile a quello che fu di Jerry Lewis proprio in "Re per una notte", in cui recitò come protagonista. In definitiva non un capolavoro, ma una grande riedizione di un classico come "Taxi Driver" adattato alla contemporaneità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta