Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Un Joker rivisitato, questo di Todd Phillips, un povero diavolo che non fa più paura, solo pena
Possiamo dimenticare Batman, la bat-mobile, il gran mantello nero e le sue imprese da supereroe buono, le mode cambiano e i bambini crescono, ma il Joker no, quello è entrato di forza nell’immaginario per il terrore che ha scatenato per decenni nei piccoli e meno piccoli.
Una delle più felici creazioni della DC Comics, la faccia a colori, da clown che ride una risata satanica, e quel nome, il burlone, il mattacchione, e Gotham City intorno a lui, una città invasa da spazzatura e super ratti, groviglio di grattacieli e strade dove essere pestati a sangue è statisticamente molto probabile, interni bui di edilizia popolare, cucine luride dove frigge il bacon e manca la porta del cesso comunicante, camere da letto con un vecchio al lumicino attaccato al televisore sempre acceso.
E il Joker ride, come un pazzo, come un assassino, come un povero diavolo a cui non resta che ridere.
E’ il contrasto che genera paura, l’inatteso, la Stand-up comedy che volge in tragedia.
“Quando il dipartimento del marketing alla Warner mi ha chiesto di descrivere il film gli ho risposto che non potevo farlo. Allora mi hanno detto: «Va bene, ma dicci almeno il genere». Ci ho pensato su per un minuto e poi gli ho risposto che è una tragedia. E credo che se il brillante Joaquin Phoenix fosse stato lì con me, sarebbe stato d'accordo” raccontaTodd Phillips
“Il brillante Joaquin Phoenix”, ultimo in ordine di tempo dopo illustri predecessori ad incarnare il Joker, questa volta supera sè stesso, bravo è sempre stato ma qui regge l’intero film (due ore) quasi da solo, e il cameo di De Niro freddato fulmineamente in scena è un capolavoro nel capolavoro, il valore aggiunto ad una interpretazione mozzafiato.
Le note di Smile e una sequenza da Tempi moderni fanno da sfondo sonoro e visivo, sono il “la” di un pezzo musicale, e quando entra in scena il Joker, di magrezza spaventosa con la faccia bistrata e la lacrima nera sul cerone bianco, tutto accade.
Il ritmo è in parossistico crescendo, e come ogni film hollywoodiano che si rispetti apre lo speaker della radio che dà il meteo e le brutte notizie.
Da 18 giorni la spazzatura non viene raccolta, i super ratti scorrazzano felici e la gente va al lavoro scontenta.
Joker si chiama Arthur Fleck, fa il pagliaccio di strada, gira per ospedali ad intrattenere i malati, racimola qualcosa e capita che una banda di ragazzacci lo pesti tanto per divertirsi.
La madre gli aveva detto di sorridere, sempre, e metter su una faccia felice perché bisogna portare risate e gioia nel mondo. E lui ama la madre, anche se poi la soffoca col cuscino.
Lei è malata e petulante, la vita è grama e la rubrica in tv dei Vip intervistati da un frizzante conduttore è l’unico raggio di sole.
Al secondo pestaggio in metropolitana esce di tasca una pistola e Arthur ne ammazza tre, con la volontà di farlo, inseguendo il terzo su per la scala mobile. Il dado è tratto, ora Arthur è diventato il Joker.
La pistola gliel’ha data un collega dell’agenzia di lavoro interinale che nel frattempo l’ha licenziato, lui neanche la voleva ma quello ha insistito “Me la paghi a rate”.
Prima di andar via Arthur cancella qualcosa nel cartello “Non dimenticare di sorridere” che sta sulle scale, e la scritta diventa “Dimentica di sorridere”. Come lui, il clown che non fa ridere e che continua a ridere, come i pazzi, senza motivo, perché il dolore diventa pazzia e può diventare anche crimine.
E se De Niro, l’amabile conduttore televisivo che un giorno l’ha abbracciato in trasmissione e ora l’ha invitato per la puntata, ha l’infelice idea di mandare in onda prima del suo ingresso un video che lo prende in giro, la pistola esce anche stavolta dalla tasca e lo fa secco.
“Ora prenditi quello che ti meriti” è l’epitaffio urlato dal Joker.
Felice frase che diventa lo slogan della piazza impazzita, uscita dalle misere stamberghe a reclamare giustizia, equità e lavoro.
La città è in fiamme e lui è l’eroe, il povero sconfitto, quello che nella vita non ha saputo fare granchè, forse perché il ricco e potente padre non l’ha mai riconosciuto e la madre, che era la serva di casa, se l’è tenuto crescendolo fra gli stenti, quello che una malattia mentale costringe a ridere, ridere e ridere senza freni, ma se ridi troppo gli altri si spaventano, ti scansano, ti dicono che sei matto.
Quella risata agghiacciante risuona per tutto il film, è la risata di chi credeva “ che la vita fosse una tragedia e invece è una commedia”.
Il bene e il male sono categorie intercambiabili, dov’è l’uno e dov’è l’altro?
La metamorfosi di Arthur da buffo clown di strada a spietato assassino sembra inevitabile.
L’uomo che per anni ha lottato per trovare la sua strada e credeva di poter diventare un gran comico di cabaret scopre di essere lui lo zimbello, e allora la sua risata si trasforma in un ghigno feroce che risparmia solo il nanetto : “Solo tu sei stato gentile con me”.
Aveva bisogno di un po’ di dolcezza, il nostro Joker, bastava non trovarla solo nei suoi sogni!
Le pareti bianche e asettiche di un reparto psichiatrico cancelleranno tutti i colori dalla sua faccia, ma non annienteranno la sua risata, stridente, micidiale, inesauribile.
www.paoladigiuseppe.it
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