Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
Venezia 76 – Fuori concorso.
Non è mai troppo tardi per prendere la decisione giusta e assumersi le proprie responsabilità. Per quanto sarebbe auspicabile ciò avvenisse fin dal primo momento, è sempre possibile recuperare il tempo perduto. In tal senso, proprio le personalità più squinternate riescono a sorprendere: scompaiono nel nulla, non battono ciglio per anni e poi eccole lì irrompere e scombinare ogni abitudine, come se niente fosse.
Ovvio che, per non spiaggiarsi in diatribe infinite, occorrano qualità speciali. Quelle che in Tutto il mio folle amore abbondano, consentendogli di giustificare, almeno in parte, un assetto ricolmo di smagliature, squassato da lampi irresistibili e approssimazioni ripetute.
Mentre è in viaggio per un minitour nei Balcani, Willi (Claudio Santamaria), un cantante da feste popolari, si ritrova a bordo il figlio (Giulio Pranno), un ragazzo autistico. Non avendo il tempo per riconsegnarlo a casa, decide di portarselo appresso in questo suo breve viaggio, scatenando la preoccupazione della madre (Valeria Golino) e del suo compagno (Diego Abatantuono), che partono all’inseguimento, convinti che Willi non sia in grado di gestirlo e proteggerlo.
Nonostante le numerose difficoltà, il rapporto tra padre e figlio non potrà che sbocciare.
Ispirandosi al romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, Gabriele Salvatores dimentica i recenti ragazzi invisibili per cimentarsi con uno visibilissimo.
Comunque sia, prima di ogni altra cosa, torna sui suoi passi, con un viaggio esistenziale in cui i luoghi e gli incontri fanno da soprammobile. Un road movie che molla precocemente gli ormeggi, lasciando spazio ai personaggi e a quel moto, soprattutto relazionale e interiore, che tanta gloria ha consegnato al regista (tra gli altri, in Turné e Marrakech express).
Un modus operandi in gran parte polarizzato sul rapporto tra padre e figlio. Il primo è un cantante soprannominato il Modugno della Dalmazia (grazie al quale Claudio Santamaria ci omaggia con ragguardevoli prestazioni canore), il secondo un ragazzo autistico, imprevedibile in ogni movenza. Tutto il mio folle amore non vuole scandagliare in modo dettagliato l’autismo, preferendo approfondire un rapporto speciale che, nell’occasione inaspettata, decolla in tutta la sua potenza, capace di sopravanzare le innumerevoli problematicità del caso.
Se il ritratto complessivo rimane semplicistico e ritoccato con un velo di zucchero filato, contemporaneamente sviscera una tenerezza irregolare e un istinto primordiale, che assegnano al film tonalità precise. In più, la musica dà un sostegno inequivocabile (ai pezzi dal vivo si aggiungono tracce da easy listening, ad esempio di Ben Harper), così come, preso in piccole dosi (e con le battute giuste), Diego Abatantuono è un valore aggiunto.
In sintesi, questo ritorno al passato di Gabriele Salvatores si fa voler bene, raggruppa parecchi stilemi divincolandosi, anche incautamente, dalla corsia del senno, senza concedere un attimo di tregua, ricercando una libertà di espressione che piega le difese, con un confronto obbligato che promuove i lati nascosti, quelli che invece avremmo bisogno di veder venire a galla.
Sgangherato e frizzante.
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