Regia di Damien Leone vedi scheda film
Un personaggio spaventoso dal sorriso agghiacciante. I precedenti film con clowns assassini (in particolare It) scenderanno, dopo avere visto Terrifier, a competere unicamente con i Teletubbies.
Sopravvissuta al massacro di Miles County, una donna dal volto deturpato racconta ad una morbosa trasmissione televisiva la sua tragica esperienza con Art the Clown (David Howard Thornton), un killer ferocissimo vestito con abito bianco e nero e con addosso una ghignante maschera dal beffardo sorriso perenne, con naso e mento spigolosi. L'omicida non è morto e il suo corpo è scomparso dall'obitorio.
Notte di Halloween. Tara (Jenna Kanelle) e Dawn (Catherine Corcoran) hanno bevuto parecchio e non se la sentono di mettersi alla guida, pertanto riparano in una pizzeria sperando di smaltire gli effetti dell'alcol. Qui incontrano il clown assassino, che manifesta morbosi atteggiamenti nei confronti di Tara. Lasciato il locale, Tara per espletare un impellente bisogno fisiologico accede in un enorme condominio mentre Art -non visto- la segue...
"Ci sono delle donne giù, morte. Senza vita. Le ha uccise ad una ad una come fossero vacche. Lui pensa che ciò che fa è divertente... perché ride." (La barbona con bambola, interpretata da Pooya Mohseni, all'uomo della derattizzazione)
"C'è gentilezza in te? Da qualche parte nel tuo cuore? Hai mai sentito il calore di una madre?" (Pooya Mohseni, faccia a faccia con Art)
Sorprendente estensione a lungometraggio del corto omonimo realizzato nel 2011 da Damien Leone, efficace addetto agli effetti speciali con già all'attivo un film antologico (All Hallow's Eve) in cui compare, a fare da raccordo, Art the Clown. Leone scrive un soggetto sintetico ed essenziale, che si sviluppa nell'arco di poche ore, nello spazio di un quartiere, dove un gruppo di persone si trovano loro malgrado di fronte ad Art. Il riferimento, evidente, sta in Halloween e non solo per l'ambientazione temporale, ma anche per via di una forza "malvagia e spietata" che anima un'entità (forse nemmeno umana) votata al Male puro e semplice, che (inter)agisce -divertendosi- con le vittime senza mai proferire verbo. Stabilite le semplici coordinate (sull'asse delle Ascisse Sex e su quello delle Ordinate Violence), a Leone interessa mettere in scena un campionario di momenti splatter e gore del tutto tradizionali, ovvero realizzati con lattice, protesi, manichini e quintali di sangue.
Inoltre, il protagonista deve apparire non solo sanguinario ma pure inquietante. Ecco allora la trovata, nel rispetto del titolo stesso, di un mostruoso look (con sorriso perenne derivato da lontano, ovvero da L'uomo che ride di Paul Leni), con particolare attenzione alle perturbanti movenze dell'ottimo controfigurante, Howard Thornton, talvolta morbosamente spaventoso, come quando espone il suo gracile corpo nudo, indossando la pelle del petto di una vittima (Leatherface docet).
Il connubio Eros (decisamente sensuale in abito succinto e lingerie Jenna Kanelle) e Thanatos (lo squartamento con sega di Dawn, affissa a testa in giù, dalla vagina sino alla testa) funziona come mai prima d'ora. Senza girarci troppo attorno, svincolato da paletti autoriali o da criptici metatesti, Leone imbastisce un thriller serrato e spietato, con insistenza di dettagli (eccezionali peraltro) splatter. Dirige con attenzione, supportato dall'intero cast tecnico/artistico: agli ottimi attori fanno da supporto scenografi, costumisti e -soprattutto- il tecnico della fotografia. I colori accesi e volutamente saturi rendono quasi onirica, da incubo, la progressiva evoluzione in eccesso degli omicidi. Sconcertante, inoltre, appare la scelta di proporre la presunta "final girl" come vittima a metà film, messa fuori scena con tre colpi di pistola diretti (con dettaglio di quel che ne consegue) in faccia.
La malvagità di Art saltuariamente sprofonda nel sarcasmo, con risvolti talmente macabri e grotteschi da smuovere sorrisi -di allarmante origine- almeno in cinque contesti: quando prende a martellate un cellulare, durante il selfie con i "quarti" di Down (appena sbudellata e sanguinante), mentre tira un calcio ad una testa decollata, mentre sculetta -nudo- indossando lo scalpo e il seno di una vittima, e quando gira coperto di sangue suonando la trombetta su un triciclo. Ma attenzione, qui di ironico non c'è proprio nulla, tantomeno di involontario declino nel comico. Al contrario, da tempo non si vedeva un film così cinico e feroce, serrato nel suo limitato (per tempo e nello spazio) campo d'azione.
Questo Leone, regista estremo e eccessivo, sembra riassumere qui un insieme delle migliori poetiche horror dei nostri Fulci, Bava, Massaccesi e Deodato. Professionale nel triplice ruolo di sceneggiatore, tecnico degli effetti speciali e regista e forse, oltreché abile, deve anche essere un po' pazzo. E proprio in virtù di una sana e visionaria follia, Terrifier è l'horror -senza troppi voli pindarici che si fanno tanti novelli cineasti supponenti- che tutti i cultori del brivido e della tensione aspettavano da anni. Un viaggio senza freni sulle montagne russe, in grado di liberare tanta adrenalina. Eh, sì: casomai lo vediate, probabilmente quel ghigno satanico non ve lo leverete tanto facilmente dalla testa, e se mai riusciste... statene certi che Art verrà a trovarvi di notte, presentandosi con uno squillo di trombetta, per poi accedere -ma da protagonista- nei vostri più "terrificanti" incubi.
Curiosità
Similmente a Damien Leone, in precedenza un altro tecnico degli effetti speciali (Robert Green Hall) realizza nel 2009 un ottimo splatter (totale) che avrà pure un seguito: Laid to rest.
Sui titoli di coda compare una dedica a tre registi horror recentemente scomparsi: Wes Craven, George A. Romero e Tobe Hooper. Se è comprensibile l'intenzione, è però singolare che Terrifier debba molto più, per influenza, ad autori ancora in vita, in particolare a Carpenter (anche per la soundtrack) e al nostro Stivaletti per la violenza grafica estrema ed insistita, a base di artigianali spfx.
Soundtrack carpenteriana
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