Regia di Mike Newell vedi scheda film
Oggi, vi parliamo del capolavoro di Mike Newell. Sì, capolavoro lo è. Donnie Brasco.
Un crime-drama della durata di due ore e 7 min. Sino ad oggi l’opus migliore di Mike Newell. E la più sorprendente perché dal regista di Quattro matrimoni e un funerale mai ci saremmo potuti aspettare che, nel ’97, potesse sfoderare un film di tale finezza antropologicamente mafiosa, erede di Scorsese, Coppola e dei “padrini” vari.
Sì, da un uomo nato in Inghilterra, chi mai avrebbe pensato e sospettato che ne sarebbe sortito un film così bello? Permettetemi la banalità di un aggettivo tanto semplice, bello, anzi, il suo superlativo bellissimo. Newell, uno con un background culturale lontano anni luce dalle tematiche gangsteristiche che, sulla partitura magnifica dell’impeccabile sceneggiatura di Paul Attanasio (candidata all’Oscar), ha trasposto il libro-inchiesta di Joseph D. Pistone, scritto in collaborazione con Richard Woodley, edito in Italia dalla Mondadori, per la collana Strade Blu, col titolo Donnie Brasco. La mia battaglia contro la mafia americana.
La trama del suo film ricalca, pur con qualche inevitabile aggiustamento e alcune ovvie riduzioni, quella del libro.
Ci troviamo a New York, nei seventies.
E Joe Pistone (Johnny Depp), volenteroso e ambizioso agente dell’FBI, spacciandosi per ladro di gioielli preziosi, riesce in camuffa a infiltrarsi nella mafia. Entrando subito in simpatia e nelle grazie dell’attempato Lefty Ruggiero (Al Pacino), un “manovale” della criminalità organizzata che sogna tutt’ora, alla sua veneranda età, di poter far la scalata presso i vertici della famiglia Bonanno.
Lefty prende sotto la sua ala protettiva Pistone che assume la falsa identità di Donnie Brasco. Donnie a sua volta compiace benevolmente, istintivamente Lefty e ne diviene quasi un figliol prodigo da coccolare a cui Lefty impartisce gl’insegnamenti giusti per avere successo in quest’ambiente di boss e pericolosi, fraudolenti uomini senza scrupoli.
Però Pistone, nonostante l’affetto che lo lega indissolubilmente a Lefty, sta facendo il doppio gioco e, alla fine, volente o nolente, tradendo un’amicizia stupenda, sarà tristissimamente costretto a svelare le sue carte. Firmando, involontariamente, la condanna a morte di Lefty.
Donnie Brasco, un film commovente con un Al Pacino straordinario, scandalosamente dimenticato da tutti i premi, in primis dagli Oscar, reso da dio dal suo fido Giancarlo Giannini nella versione doppiata in italiano. Un eccezionale doppiaggio da parte di tutti. Che, pur in maniera poco filologica, “traduce” il verace slang degli italoamericani mafiosi in pertinentissimi dialoghi meravigliosamente riusciti, come l’indimenticabile frase pronunciata, sino allo sfinimento, da Al Pacino, vero must del film: che te lo dico a fare?
Un Pacino spalleggiato da un altrettanto bravissimo Johnny Depp. Nel suo primo ruolo da duro in assoluto. Dopo esser assurto a sex symbol delle teenager e aver troneggiato da freak per Tim Burton.
Senza dimenticare naturalmente Michael Madsen. Uno degli attori feticcio di Tarantino, il quale trova qui un ruolo veramente adatto al suo corpaccione carismatico e alla sua viscida faccia da iena...
Citazione doverosa anche per Anne Heche, un’attrice oggigiorno praticamente scomparsa dai radar della Hollywood che conta ma che, in quegli anni, pareva essere predestinata a un futuro attoriale ben più roseo.
Donnie Brasco, un cult.
Stupisce però come un film del genere che, al botteghino andò benissimo e piacque così tanto a Critica e pubblico, sia stato ignorato, appunto, dagli Academy Awards.
Ciò rimane ancora un grave mistero.
Donnie Brasco, un film indubbiamente inferiore a Quei bravi ragazzi, questo va detto, ma profondamente toccante e scritto, diretto, recitato divinamente.
Fra i produttori, Barry Levinson, “habitué” di Pacino. Sua la sceneggiatura di ...e giustizia per tutti, sue le regie di You Don’t Know Jack - Il dottor morte, The Humbling e Paterno. Oltre a essere stato il produttore esecutivo di Phil Spector di David Mamet.
di Stefano Falotico
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