Regia di Sharunas Bartas vedi scheda film
Il corridoio, un motivo ricorrente nel cinema di Šarunas Bartas, è il vuoto ed anonimo spazio comune su cui si affacciano le singole esistenze. Esistenze separate dall’aria, che nulla hanno da spartire le une con le altre, se non l’ammorbante sostanza della miseria, che colpisce ciascuno in diverso modo. Corridoio è anche, in senso cinematografico, il percorso di una carrellata attraverso una galleria di volti solcati dalla sofferenza, posti uno accanto all’altro senza l’ombra di un filo conduttore. Gli ambienti di questo film, che ritrae i muti e solitari abitanti di un fatiscente caseggiato popolare, sono come tante nicchie che ospitano angeli caduti, o forse, più banalmente, martiri mancati: uomini e donne abbandonati dalla vita dotata di ragione e di scopo, e lasciati a testimoniare la più coraggiosa e sublime forma di rinuncia, ossia quella di chi si macera in tristi trastulli, in una sterile noia, e così sacrifica i propri giorni consegnandoli alla tirannia del caso. Il senso è fuori da quelle mura scrostate, al di là di quelle finestre cadenti, dove risiedono i sogni proibiti di un piccolo vandalo, dove mira un fucile che non può sparare, dove si perdono i pensieri di chi non riesce a ricordare, o i desideri di chi non sa più amare. Così nessuno parla veramente, perché manca il contenuto su cui esprimersi, e la realtà esiste, semplicemente, perché la vita non è finita, e nei corpi c’è ancora, nonostante tutto, un po’ d’energia da consumare. Con questo film Šarunas Bartas riprende il lirismo attonito ed assorto di Tre giorni per convertirlo in una originale forma di realismo artistico: una visione quasi musicale, che scandisce mentalmente il tempo, con un ritmo sordo e sonnolento che fa dell’inutilità poesia.
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