Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 74 - CONCORSO Benedetta Carlini, figlia di un agiato commerciante, viene portata ancora bambina, nel Seicento minato dalla peste, in un convento di una cittadina toscana, già posseduta da una fede verso l'Onnipotente non comune per una ragazzina della sua età.
Quando poi si diffonde la notizia che la giovane viene stordita da visioni del Cristo, e risulta dotata della capacità di manifestare la presenza divina attraverso atti e simboli come le stigmate, il suo ruolo nel convento assume sempre più considerazione e prestigio, fino a renderla badessa al posto della sua storica madre superiora.
Durante la giovinezza fa in modo che il padre paghi la retta che consenta ad una bella ma povera contadina di trovare rifugio in quello stesso luogo sacro, fino a divenire le due vere e proprie amanti, tra scalpore, processi, una Chiesa intransigente e corrotta non meno della accusata, e la peste che incombe a minacciare la città fortificata.
Forte di una sceneggiatura dagli esiti un po' tormentati tratta dall'opera di Judith C. Brown, Atti impuri. Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento, scritta a fatica dal regista olandese Paul Verhoeven assieme allo sceneggiatore americano David Birke, Benedetta ci fa ritrovare, sempre tecnicamente in forma smagliante e forte della sua collaudata energia narrativa, il noto regista di Basic Instinct (oltre che di tutti gli altri successi, d'autore olandese e di cassetta americani).
Verhoeven, alla veneranda età di 82 anni, se ne torna proprio con un progetto malizioso e pruriginoso non dissimile, in senso generale, dal suo thriller erotico di gran successo Basic Instinct, quasi ricavandone una versione rinascimentale, non priva di tutti gli eccessi e le furie presenti nel primo, e una nuova splendida quanto davvero poco plausibile Catherine Trammel in tonaca e poco altro.
Un film, questa Benedetta, esagerato e schizzato, pruriginoso come diversi altri esempi di cinema alla Borowcyzst, se non proprio del filone erotico italiano anni '70 focalizzato sull'erotismo un po' sadomaso da cella monacale, ma che risulta sempre in grado di reggere per ritmo, e capacità di farsi seguire grazie ad un ammirabile stile narrativo proprio di un autore scaltro ma pieno di energia e furore, che si sono rivelati spesso come la carta vincente del regista olandese.
Benedetta dunque si presenta come un'opera di gran carisma anche quando esagera, anzi soprattutto quando lo fa, anche quando fa parlare in francese il popolo toscano di Pescia, o quando pone al centro della vicenda una eretica bionda e mechata che pare una nuova B.B: la conturbante Virginie Efira, volto e corpo moderno impensabile da trasporre nel Rinascimento, ma tant'è.
Nel cast robusto e pertinente, non possiamo non segnalare una nuova performance straordinaria di Charlotte Rampling, un ancora dinamico Lambert Wilson dal polpaccio sexy, e la inquietante bellezza demoniaca che trasuda dal corpo, e soprattutto dallo sguardo scuro ed inquietante della bellissima Daphne Patakia, qui nel ruolo della pastorella salvata dalle grinfie familiari e viatico di perdizione e dannazione ai danni della santa più controversa e rimessa in discussione che sia mai esistita dopo Jeanne D'Arc.
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