Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
Benedetta(si).
A parte il fatto che un tempo esistette, prima della realizzazione di “Benedetta”, che Paul Verhoeven [due lungometraggi, “ZwartBoek” (2006) ed “Elle” (2016), e un mediometraggio, “SteekSpell” 2012), in vent’anni] ha tratto - passando, nel corso della stesura dello script, dal suo sceneggiatore patrio, olandese, Gerard Soeteman, a quello hollywoodiano, David Birke - dal saggio “Atti Impuri - Vita di una Monaca Lesbica nell'Italia del Rinascimento” (in originale “Immodest” = “Impudico”) di Judith C. Brown del 1986, non altro sapevo (ferma com’era in questo campo la mia kulturah al XIV secolo del boccaccesco ed apprezzabile “the Little Hours” by Aubrey Plaza & Alison Brie) della vita e delle opere di Benedetta Carlini (1591-1661), badessa in Pescia sul finire della ControRiforma (la Restaurazione Cattolica atta a porre argine alla Riforma Protestante), perché quando imparai che la storia non fa che mandelbrotianamente ripetersi, etenamente uguale a sé stessa [Non è vero: studiate, bestie!; NdR), smise d’interessarmi l’elencazione di date e di rapporti (con)causa-effetto che ne costituisce l’essenza, ribaltando il detto “Studiare la Storia serve per comprendere il presente”: “Vivere/Osservare il presente serve per comprendere la Storia”.
Un film inequivocabile (del tutto ateo, oltre che laico), lucidissimo (l’evoluzione, le intenzioni, la natura e la psicologia della protagonista sono esposte, con un filo di ironia e con una quota parte consistente di feroce real politik, senza didascalismi, ma perfettamente identificabili e scevre da compromessi narratologici e derivazioni epistemologiche: il convento è la sua Home, oltre che la sua House, e diverrà, scientemente, la sua stanza tutta per sé e la sua cella di detenzione perpetua, e il rilievo che le viene mosso, “Non sapete riconoscere i vostri stessi sentimenti?”, è - consapevolmente da parte degli autori - tanto acuto quanto ottuso) ed eterogeneamente perentorio, in cui un dito in culo provoca estatiche visioni mistiche meglio che un solanaceo infuso di mandragora.
L’algida dolcezza risoluta di Virginie Efira (suor Benedetta, futura badessa; già in “Elle”, e in risonanza duale con “ZwartBoek”) è un perfetto volto e corpo verhoeveniano, ma ad animare, innervare e saziare lo schermo sono principalmente Daphne Patakia (la novizia Bartolomea; uno sguardo che trafigge; e a lei è affidato lo scatenamento di una delle non poche scene prettamente comiche del film: il campo/controcampo fra tentatrice sorpresa anale e cristian-satanico aspide sibilante) e, in seconda battuta, Charlotte Rampling (suor Felicita, ex badessa; un po’ caratterialmente sopra le righe nel complice installare recitante l'ultima rappresentazione prestidigitante - l'ennesima messa-in-scena - della consorella protagonista durante il pestilenziale prefinale), mentre Lambert Wilson (Alfonso Giglioli, il nunzio/inquisitore papale), Olivier Rabourdin (Stefano Cecchi, il prevosto di Pescia), Louise Chevillotte (suor Cristina, figlia di Felicita), Hervé Pierre (padre Paolo Ricordati), David Clavel (il padre di Benedetta), Clotilde Courau (la madre di Benedetta) ed Elena Plonka (Benedetta bambina) chiudono l’ottimo cast.
La fotografia (per certi tratti powell-pressburgeriana, ovvero cardiff-challisiana) è dell’ozoniana (Gouttes d'Eau…, Sous la Sable, 8 Femmes, le Temps qui Reste, Ricky) Jeanne Lapoirie, mentre il montaggio e le musiche, molto belle, sono di due collaboratori dell’ultimo Verhoeven europeo (“ZwartBoek” ed “Elle”), ovvero rispettivamente Job de Burg (“BorgMan”, “BrimStone”) e Anne Dudley (“the Crying Game”, “the Walker”). Co-produce il benemerito Saïd Ben Saïd (gli ultimi Polanski, Cronenberg, De Palma, Hill, Schroeder).
Girato nell’estate del 2018 tra il Centro Italia (Val d’Orcia, Perugia, MontePulciano, Bevagna) e il Sud della Francia (Provenza), è stato rimandato di un anno una prima volta a causa di alcuni problemi di salute del regista durante la post-produzione e una seconda volta di un altro anno a causa dell’epidemia di SARS-CoV-2, partecipando infine nel 2021 al Concorso della 74ª edizione del Festival di Cannes assieme a Bruno Dumont, Wes Anderson, Nanni Moretti, Joachim Trier, Leos Carax, Jacques Audiard, Apichatpong Weerasethakul, Ryusuke Hamaguchi etc., vinta da Julia Ducournau (a Spike Lee joint, in ogni senso) e con Jonas Carpignano alla Quinzaine des Réalisateurs e Kogonada al Certain Regard.
Benedetta(si).
* * * * (¼) - 8.25
• Exempla / 1: Sweet Blood of Jesus, ovvero: trova le piccole differenze.
Il Gesù di Martin Scorsese, Paul Schrader, Nikos Kazantzakis: “I want to be your son! I want to pay the price! I want to be crucified and rise again! I want to be the Messiah!”
Il Gesù di Paul Verhoeven: “Take off your clothes.”
• Exempla / 2: perlopiù rapaci/feroci viperidi (al crotalo nun je devi romp’er…), non pucciosi colubridi.
(Erich von Stroheim)
(Billy Wilder)
(Sam Peckinpah)
(Martin Scorsese)
(Darren Aronofsky)
(Paul Verhoeven)
• Exempla / 3: eretiche, indemoniate/possedute e streghe nel XXI secolo.
- Italia, Garfagnana, XIV secolo: “the Little Hours” di Jeff Baena (2017)
- Francia, Borgogna, XV secolo: “Jeannette, l'Enfance de Jeanne d'Arc” di Bruno Dumont (2017)
- Francia, Normandia, XV secolo: “Jeanne” di Bruno Dumont (2019)
- Austria, Alpi, XV secolo: “Hagazussa” di Lukas Feigelfeld (2017)
- Spagna, Paesi Baschi, XVII secolo: “Akelarre” di Pablo Agüero (2020)
- Italia, Convento della Madre di Dio, Pescia, XVII secolo: “Benedetta” di Paul Verhoeven (2020)
- U.S.A., New England, XVII secolo: “the VVitch: a New England FolkTale” di Robert Eggers (2015)
- Italia, Convento delle Clarisse di Bobbio, XVII secolo: “Sangue del Mio Sangue” di Marco Bellocchio (2015)
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