Regia di Carol Reed vedi scheda film
Questo film, del 1959, è il terzo ed ultimo nato dalla collaborazione fra il regista e Graham Greene: i precedenti sono stati Idolo infranto del 1948 e il famoso Il terzo uomo del 1949. Il romanzo omonimo di Greene si svolge a Cuba alla fine degli anno ‘50 quando la ribellione castrista era già in atto e riguarda, con uno stile leggero ma pungente da commedia nera, un mediocre venditore di aspirapolvere, Jim Wormold (Alec Guinness), nome che si può significativamente tradurre come Vermevecchio (e to worm out = carpire segreti), che si fa arruolare dall’agente Hawthorne (Noël Coward) nei servizi segreti per poter mantenere la figlia Milly (Jo Morrow), corteggiata dal capitano Segura (Ernie Kovacs), e, consigliato dall’amico Hasselbacher (Burl Ives) instaura una rete fittizia di spie. Il capo (Ralph Richardson), da Londra gli invia Beatrice Severn (Maureen O’Hara), come segretaria, e un radiotelegrafista, ma Wormold si troverà però coinvolto in un gioco serio e molto pericoloso. Greene, che durante la guerra era stato un agente segreto e forse lo era rimasto, per mettere alla berlina la supponenza e l’ottusità dei servizi segreti inglesi, si è molto probabilmente ispirato a fatti realmente accaduti nella II Guerra mondiale quando l’agente inglese doppiogiochista Juan Pujol Garcìa, a Lisbona, si inventò una rete fittizia di 27 agenti e riuscì a gabbare i nazisti depistandoli in merito allo sbarco in Normandia e finendo addirittura per essere decorato per le sue azioni sia dagli inglesi che dai tedeschi, caso unico nella storia. Da notare, inoltre, che la vicenda narrata presenta una notevole analogia, quasi una premonizione, con la crisi dei missili di Cuba, posteriore di circa quattro anni. Il film è una trasposizione in immagini del romanzo, piuttosto fedele anche se ovviamente con piccole licenze e abbreviazioni, e il significato delle vicende narrate penso sia ben sintetizzato dalle parole che Beatrice pronunzia nel romanzo: “… Forse il mondo non sarebbe quel pasticcio che è, se riservassimo la nostra lealtà all’amora, invece che alle patrie.” concetto affine a “fate l’amore non la guerra”. Un altro tema in sottofondo è quello del cinico approfittarsi delle persone “normali” da parte di chi detiene il potere per conseguire i propri fini: ne sono esempio l’arruolamento di Jim da parte di Hawthorne per colmare un buco nella rete dei Caraibi sfruttando le sue necessità economiche, il costringere Hasselbacher, ricattandolo, a decrittare i telegrammi di Jim, la spudorata affermazione di Segura di suddividere le persone in torturabili (poveri ed emarginati) e non torturabili (quelli che hanno un peso nella società). Il nostro agente all’Avana è un film di pacevole ed interessante visione e Carol Reed si conferma un regista di solido ed efficace mestiere, mantenendo sempre un buon ritmo narrativo grazie ad un montaggio serrato ma non precipitoso, tuttavia non raggiunge le vette dei suoi capolavori (Il terzo uomo, Fuggiasco) e dimostra un declino nell’ispirazione. Il maggior pregio del film sta nella recitazione di un cast davvero eccellente: Alec Guinness, veterano della commedia nera (Sangue blu, La signora omicidi), conferma la sua sottile bravura, Ernie Kovacs è straordinario nel dar vita all’astuto e crudele capitano Segura, rendendo quasi simpatico un personaggio in realtà odioso, Burl Ives è ottimo nei panni del dolente e sfortunato dottor Hasselbacher, la splendida Maureen O’Hara dà risalto al buon senso ed ai sentimenti di Beatrice, Noël Coward e Ralph Richardson sono eccellenti nel rendere lo svagato sussiego e la burocratica insensibilità dei superiori di Jim; corretta, ma niente di più, Jo Morrow nei panni di Milly, la figlia di Jim.
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