Regia di Pella Kagerman, Hugo Lilja vedi scheda film
Bel film di sci-fi. Tanti e intriganti i temi e gli spunti di riflessione.
In un futuro imprecisato, l’umanità scellerata ha ridotto il pianeta, in un posto ormai inabitabile, gigantesche navicelle spaziali,si dirigono alle colonie costruite su Marte, per dare rifugio agli umani. Aniara è una di queste, fa la spola tra la Terra e il pianeta rosso, ibrido tra centro commerciale e nave da crociera, ciclopico ambiente artificiale, corredato di svaghi di ogni genere, comandato con autorità dal Capitano; su questa mega-navicella è stata installata anche MIMA, una intelligenza artificiale, una sorta di grande specchio, che riflette nella mente dei passeggeri che ci si sottopongono, meravigliosi scenari della terra che fu, con immagini rassicuranti, in cui le persone si abbandonano alla sua potenza allucinogena come a un trip a base di LSD. La responsabile della sua gestione, è Mimaroben , protagonista del film,insieme alla sua compagna, donna apparentemente fredda e chiusa nel suo ruolo “militare”. Nei primi giorni sono pochi i passeggeri che usano il dispositivo;tuttavia quando l’immensa astronave è colpita da detriti spaziali e va fuori rotta, con la prospettiva di restare anni nello spazio, Mima diventa indispensabile per una fuga dalla realtà, cui ricorrono quasi tutti. La situazione nel frattempo precipita, la navicella spaziale è destinata a perdersi nello spazio siderale e niente e nessuno può deviare il suo percorso verso il nulla, tutti lo sanno, ma pochi lo dicono, è in atto una sorta di violenta censura, che obbliga i passeggeri a evitare disfattismi. L'utilizzo intensivo di Mima, di cui Miraboen si lamenta inascoltata, la manda in panne e questa“coscienza cibernetica” “collassa”; gli 8.000 passeggeri della nave sprofondano in un abisso di disperazione, qualcuno si suicida, qualcuno impazzisce, molti si danno a orge sfrenate e ad atti di violenza inauditi,alcuni praticano riti religiosi. Aniara si ispira in modo chiaro all’omonimo poema scritto dal Premio Nobel per la letteratura Harry Martinson, in cui attraverso 103 canti aveva narrato la tragedia di una nave spaziale, in cui venivano riprese le gelide atmosfere della Guerra Fredda. Aniara è una metafora dell'irrazionalità umana, che sta conducendo all'auto-distruzione il nostro Pianeta. La nave in Martinson ha un significato personale profondo, che deriva da una biografia singolare. Rimasto orfano, adolescente s'imbarcò come mozzo, si ammalò, fu costretto a ritornare in Svezia. Qui cominciò a scrivere poesie e fu il primo poeta proletario a venire ammesso all’Accademia Svedese;i suoi lavori avevano quasi sempre come oggetto la natura, non sembrava nutrire interesse per la fantascienza e nulla faceva trasparire la disperazione che l’avrebbe portato, settantenne, a suicidarsi,squarciandosi lo stomaco con un paio di forbici. Aniara, dal greco, significa “disperazione”. Come nell'acclamato Melancholia, vengono meno delle certezze e come nel film di Lars Von Trier niente e nessuno interviene per salvare un’umanità alla deriva, i cui sforzi di evadere dalla catastrofe falliscono miseramente
La coppia di cineasti/sceneggiatori, Pella Kågerman e Hugo Lilja, trae ispirazione dal pessimismo nordico del già citato Lars von Trier e dagli incubi di Andrej Tarkovskij riprendendo e aggiornando i temi del poema, con l’ambizione di matrice kubrickiana di descrivere un futuro possibile ma non auspicabile. La veste fotografica è adattata alla necessità di girare in interni, con un efficiente lavoro di Sophie Winqvist Loggins, e con la grafica digitale di Johan efficace nel dare corpo a MIMA; i due cineasti adoperano un ritmo narrativo lento ma funzionale, nel restituire le progressive distorsioni comportamentali dei personaggi, all’interno di una quotidianità allucinante. Un film di sci-fi che propone interessanti riflessioni: l'uomo ha una natura violenta e prevaricatrice, è desolatamente solo, non sa perché esiste,non accetta la sua condizione e soffre perché ignora il suo destino ultimo. La regia è elegante, anche se penalizzata da un basso budget, il design creato da Ellen Utterström immerge lo spettatore dentro un mondo freddo,arido, dove tutto, dal sesso, alla rabbia al ballo, si consuma passivamente Suggestiva l’estetica di un labirinto claustrofobico, che si stringe attorno ai passeggeri, nell'illusione di ordine, in un caos che invece inesorabile avanza. Il ritmo lento è coerente, con il poema da cui è tratto, e con i messaggi che trasmette; è un film inquietante e dall'enorme impatto emotivo. Centrale la tematica dell’oppressione, dell'eterna tendenza a sfruttare la paura per appagare la propria sete di potere. Un percorso perverso alimentato da menzogne, manipolazioni e tentativi di limitare ogni forma di libertà o tolleranza. La disciplina imposta con metodi coercitivi, arriva a praticare l’omicidio, per ragioni di Stato;in pratica la perdizione dell'essere umano sempre inaffidabile, incline alla sopraffazione e incapace di imparare dai propri errori. Il film prende, appassiona, spaventa e soprattutto fa riflettere.
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