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Benvenuti a Sarajevo

Regia di Michael Winterbottom vedi scheda film

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La recensione su Benvenuti a Sarajevo

di Aquilant
4 stelle

Eh già, welcome to Sarajevo, dov'è di moda giocare al tiro al bersaglio con i malcapitati partecipanti di un corteo nuziale. Dove i cecchini sui tetti a differenza di quel mattacchione di Bennato non fanno alcuna distinzione tra buoni e cattivi. E dove i famelici occhi delle telecamere non stanno troppo a cavillare sul comune senso del pudore.
Ma resta soltanto a livello d‘illusione la vampata di parossismo che raggiunge il suo apice proprio nei minuti iniziali, prendendo in mano le redini del racconto ma solamente per un periodo ben determinato, suscitando prematuri ed immotivati fremiti adrenalinici in un’estemporanea prefigurazione di ipotetici sulfurei scenari di dannazione bellica. Poi di punto in bianco i toni duri e sovraccarichi si smorzano di colpo afflosciandosi in quelli più rassicuranti (per i cardiopatici) di un itinerario narrativo convenzionale sgocciolante di luoghi comuni sorpresi a marciare tranquillamente a passo felpato. E di rimbalzo la pellicola non perde l’occasione di cullarsi nella latente ripetitività di situazioni viste e straviste come da telegiornali serali, limitandosi a suscitare una parvenza di tensione telefonata tramite una serie di sequenze dall’andamento inerziale e di boccheggianti ralenti che si spengono all’improvviso su momenti di stanca e di confusione narrativa.
Vana anche l’intenzionalità forzata tendente ad abbagliare lo spettatore con sterili carrellate di trecentosessanta gradi. La materia non palpita. Gli sporadici fremiti forzatamente indotti stazionano immoti sottopelle. Le finalità descrittive permangono vaghe e indistinte. L’alternanza tra immagini di repertorio a carattere documentaristico ed il normale percorso diegetico della storia finisce col produrre un effetto di scollamento alquanto deleterio, contribuendo alla collocazione dell’opera in una fascia qualitativa medio-bassa nonostante le ambiziose premesse.
Ma di certo la tragedia che ha macchiato di tanto sangue innocente il suolo bosniaco appare argomento troppo complesso per essere trattato in modo ondivago e programmatico. Né la materia filmica appare sufficientemente suffragata da un’adeguata trasfigurazione della realtà in termini narrativi nel suo ambizioso intendimento di rendere testimonianza di eventi di spessore tale da costituire la drammatica saga di una generazione allo sbando. Un doppio hurrà per Mereghetti che parla di ”contaminazione dei formati (sai che novità) e buoni sentimenti come antidoto all’orrore e all’oblio.” Da includere ovviamente nelle playlist dei film da dimenticare.

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