Regia di William Friedkin vedi scheda film
FRIEDKIN
"-Chi ha detto: trovami un omosessuale felice e io ti trovo un cadavere allegro?".
Nel 1970 William Friedkin traspone sul grande schermo la nota pièce teatrale The boys in the band di Mart Crowley, dando vita ad un film divisivo ed anticipatore di un genere, quello del cinema queer, che diverrà proprio un segmento a se stante, portavoce di diritti e condizioni di una minoranza da sempre soggetta ad intolleranze e pregiudizi, nonché primo ed epocale intervento in materia da parte del regista, che tornerà in argomento, con ancor più clamori ed accuse di scandalo, con il controverso e non meno magnifico Cruising, esattamente un decennio successivo (1980).
Al suo quarto lungometraggio, Friedkin dirige un film claustrofobico in cui la scena si riduce ad un appartamento, quello in cui vive il borghese trentenne omosessuale Michael (Kenneth Nelson), nella sera in cui decide in fretta e furia di organizzare una festa tra amici con la scusa del compleanno del comune amico Harold.
Costui arriva molto in ritardo, mentre gli altri cinque compagni sono già presenti, ognuno scandito nei suoi peculiari tratti personali, ognuno alle prese con i problemi che lo affliggono, le gioie e le piccolezze che caratterizzano la vita di ognuno.
Ma a costoro si aggiunge anche il timoroso e sconsolato Alan (Peter White), compagno di scuola eterosessuale di gioventù del padrone di casa, che chiama in lacrime il suo amico, salvo poi salutarlo e poi presentarsi di sorpresa, tra lo sconcerto di Michael che tenta in tutti i modi di dissimulare un comportamento eterosessuale, senza però fare i conti con l'estroso ed irriducibilmente effeminato Emory (Cliff Gormann), le cui movenze indicono lo spaesato ed imbarazzato Alan a reagire con un comportamento decisamente poco consono ala situazione e alla sua abituale indole.
Alla fine arriva pure il festeggiato, Harold, (un dinoccolato e sofisticato Leonard Frey), a cui non resterà che "scartare" il regalo vivente che l'eccentrico Emory ha preparato per lui, ed arrivato in anticipo sotto forma dell'attraente ma un po' goffo prostituto noto come "Cowboy" (il celebre modello queer Robert La Tourneaux).
Friedkin utilizza lo stesso valido e coeso cast della versione teatrale, e dà vita ad un'opera davvero brillante ed incalzante che fu amato ed odiato senza mezzi termini e senza mezze misure, grazie anche alla capacità del regista di calcare la storia su atteggiamenti che mettono in luce un mondo tutto ombre e luci di una minoranza troppo spesso bistrattata e perseguita, ma descritta nel film con i caratteri, i tic comportamentali, e le dinamiche di approccio alla vita ed ai sentimenti, da cui emergono fatti, misfatti, pregi e meschinità con la stessa dinamica che caratterizza il modo di vivere di chiunque.
Un film tutto battute fulminanti e sagaci, che non evita situazioni sopra le righe, ma riesce a dominarle senza pietismi inutili, grazie ad un ritmo indiavolato e ad una cura dei particolari di ogni personaggio, singolarmente sfaccettato con cura anche quando appare solo come un ruolo apparentemente di secondo piano, che rende il film un caposaldo assoluto del cinema queer di tutti i tempi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta