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Ottobre - I dieci giorni che sconvolsero il mondo

Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film

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La recensione su Ottobre - I dieci giorni che sconvolsero il mondo

di (spopola) 1726792
10 stelle

Un film basato su un travolgente virtuosismo visivo costruito con la tecnica studiata e teorizzata dal regista che è quella del montaggio, inteso però non come semplice mezzo di collegamento e di raccordo, ma come riconoscibile strumento che definisce lo stile e quindi sviluppato in forma espressivo-narrativo

Ottobre è un film sulla rivoluzione, e soprattutto su una rivoluzione permanente. Era stato chiesto a Ejzenštein un film per celebrare il passato e lui ci ha consegnato un film per il futuro (Aldo Grasso – Il Castoro cinema) che anziché offrire una cronistoria di quella rivoluzione che avrebbe dovuto capovolgere le sorti del mondo intero, presenta le sue personali riflessioni su quei fatti, evitando luoghi comuni  e tentazioni  trionfalistiche, attraverso  la rielaborazione linguistica di quegli avvenimenti e l’applicazione pratica di un progetto ambizioso (qui messo puntualmente in pratica) finalizzato a realizzare un cinema “intellettuale”(così lo definisce nei sui scritti teorici) atto a formare una più consapevole coscienza collettiva delle masse.

 

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Ejzenštein (con la collaborazione di Grigori Aleksandrov)  scrisse la sceneggiatura di Ottobre (che resta uno dei capolavori assoluti e indiscussi della storia del cinema) lavorando su una enorme massa di materiali informativi (non ultimo, il libro di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo) rendendo però il tutto  tutt’altro che conforme a quello che aveva richiesto la committenza (il governo politico dell’URSS).

Sulla base dei documenti e della Storia (quella con la lettera maiuscola), sui quali meditò a lungo, costruì   un racconto fedele ai fatti ma totalmente piegato alle sue esigenze[1] di regista. Ne uscì così fuori un’opera anomala indubbiamente  “celebrativa” ma in una maniera molto speciale (a suo modo, si potrebbe dire)  dove prevale il lato sperimentale della messa in scena che tiene conto di quella  proposta innovativa a cui  ho accennato prima che si svilupperà per tutto il suo percorso operativo.

Si può dire allora che se la Rivoluzione d’Ottobre è stata il tentativo di conquistare una coscienza politica di rivalsa anche sociale, il film rifiuta di diventare una sbiadita copia di quell’avvenimento epocale e rappresenta invece il punto più alto di una elaborazione concettuale (un tantino utopica)  che da anni il regista perseguiva con tenacia e determinazione che era poi quella di arrivare a realizzare, nell’epoca del muto, un cinema capace di comunicare attraverso concetti astratti (o, come dice ancora Grasso, di utilizzare il linguaggio della dialettica cinematografica) e mettere così  fine al contrasto spesso contrapposto fra il “linguaggio della logica” e il “il linguaggio  delle immagini”.

In questa sua opera davvero magistrale, manca dunque la rievocazione trionfalistica degli eventi al tempo stesso “tragici” e “gloriosi” della rivoluzione già di per sé fortemente retorici (che alla luce dell’oggi avrebbero potuto risultare persino fortemente anacronistici per come poi sono andate a finire le cose) poichè pur di fronte a un tema che, nel bene e nel male, era obbligato e consentiva poche deroghe, fu da lui scelta ancora una volta una strada meno conciliante che trova il suo perno in una ricerca formale di eccezionale rilevanza, efficacissima e tutt’altro che fine a se stessa.

Il suo è infatti un film basato su un travolgente virtuosismo visivo costruito con la tecnica da lui stesso studiata e teorizzata che è quella del montaggio[2] (inteso però non come semplice mezzo di collegamento e di raccordo,  ma come riconoscibile strumento che definisce lo stile e quindi sviluppato  in forma espressivo-narrativa). Il montaggio insomma utilizzato per contrapporre in maniera più creativa e originale, il rapporto/conflitto fra inquadrature anche di differente natura, così da  accentuare l’interiore espressività della vicenda, e attraverso questa,  trasmettere emozioni e idee di riflessione allo spettatore e rendere così tangibilmente comprensibile – pur nella “celebrazione” dell’evento - l’ironia, la satira e il prepotente sarcasmo che in modo sottile attraversano di soppiatto tutta la pellicola (vedi a titolo di esempio, il montaggio che mette di fronte al menscevico Kerenskij l’immagine del pavone creando così una specie di  identificazione critica, o la sequenza in cui i corpi dei  rappresentanti del potere reazionario spariscono letteralmente  dalla scena, si dissolvono e dei quali alla fine non restano altro che dei vestiti vuoti).

 

Lo spettatore viene dunque coinvolto emotivamente dal frenetico scorrere delle immagini che evocano l’esplosivo processo di liberazione dallo stato di arretratezza economica  della nazione che avrà poi però un successivo periodo di grande repressione epurativa (le drammatiche fasi che accompagnarono la nascita del nuovo stato russo).

Nonostante il suo valore però, il film che aveva goduto di una totale autonomia (anche economica[3]) nella fase della sua realizzazione, non piacque poi al regime che lo fece oggetto di un ostracismo feroce: delle quattro opere portate a termine da Ejzenštein per commemorare l’importante anniversario, questa è senz’atro quella che è stata più bersagliata dalle critiche, soprattutto in Russia.

Fu accusata infatti di irrealismo, di un gratuito compiacimento estetizzante, di un insopportabile, eccessivo sperimentalismo e sottoposta conseguentemente (prima della sua rappresentazione ufficiale avvenuta il 14 marzo 1928 al teatro Bolshoi di Mosca) a pesantissimi tagli (più di 30 minuti) che decretarono  l’eliminazione delle scene che vedevano la presenza di Trotskij e Zinovev, nel frattempo caduti in disgrazia.

 

La vittoria del popolo in Ottobre non è  semplicemente la presa dei Palazzo d’Inverno, ma molto di più. In realtà i cancelli del Palazzo d’Inverno non erano chiusi e non c’era alcun bisogno di scavalcarli. Ma scavalcarli significava superare definitivamente non solo lo zarismo, ma anche il regno degli oggetti che erano marchiati dal segni del potere come le aquile e le corone che troneggiavano sulla cancellata. Gli uomini che la scavalcarono utilizzarono tutti quegli ornamenti  araldici come gradini da calpestare e si appropriarono poi pure di tutti gli altri oggetti di ogni specie che ornavano le mille stanze del palazzo:  giocattoli bizzarri, cianfrusaglie, orologi d’ogni genere, etc. etc. Ottobre ci racconta dunque l’ansia di liberazione dell’uomo, il suo bisogno di cielo, di spazio,di libertà per poter dare  finalmente libero corso al proprio pensiero”. (Viktor Borisovi? Školovskij)[4]

 

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Il film è ambientato a Pietroburgo nel febbraio del 1917, quando era al potere il governo oppressivo di Kerenskij. I bolscevichi, guidati da Lenin tornato appositamente dall’esilio, si stavano preparando  all’insurrezione di ottobre che li porterà a conquistare  il Palazzo d’Inverno (ci entrarono dentro passando anche  dagli scantinati dell’Ermitage, il celebre museo che allora faceva parte della residenza degli zar).

Tutti gli avvenimenti che segnarono quella data fatidica sono rispettati: l’arresto dei membri del governo e la successiva formazione del congresso sovietico dei rappresentanti dei contadini, dei lavoratori e dell’esercito (ormai guidato da Lenin) ed è proprio questa in sintesi  la storia che racconta Ottobre.

 

Molte cose si sono dette e scritte nel corso degli anni su quest’opera cardine della filmografia di un regista che provò a rivoluzionare teorie e pratiche  della Settima Arte.

Parlare oggi di una pellicola tanto nota (ma adesso purtroppo poco frequentata) può dunque servire a tenere viva la memoria e  a ricordarci (cin un po’ di rammarico) quello che il cinema – e non solo il cinema – avrebbe potuto essere e non è stato se le cose si fossero sviluppate in un’altra direzione. A noi dunque non resta che  il piacere di poterne celebrarne la grandezza quasi un secolo dopo mettendo  in evidenza che oltre a tutto quello che ho già scritto sopra, è un film indiscutibilmente commovente ma che ha al suo interno anche una forte carica di violenza che incita alla rivolta per quel che mostra (l’impressionante crudezza del sollevamento dei ponti, il marinaio linciato da una disgustosa folla di borghesucci, l’uomo che spara sulla folla in un violentissimo alternarsi del suo primo piano con due differenti inquadrature  del mitragliatore, il cadavere del cavallo che penzola nel vuoto, i volti segnati dalla sofferenza e dalla rabbia degli operai e dei contadini che si ribellano istintivamente e con coraggio all’autorità) e dice (le didascalie creative perfettamente integrate nel montaggio che non creano mai alcuna sospensione o frattura nel ritmo di una  messa in scena priva di un tempo sistematico ma basata su ellissi temporali legate fra loro dall’uso delle simbologie del cosiddetto “montaggio intellettuale”.

E’ insomma un film che lavora magistralmente sui corpi  trasformandoli in un’icona rivoluzionaria nel solo mostrarli sullo schermo e che inneggia a un futuro  che il regista  vorrebbe capace di saper rifiutare la gretta accumulazione del denaro, l’ossessione del possesso e del potere.

 

Da una parte gli uomini e dall’altra le cose e  non c’è dunque da meravigliarsi più di tanto se il film non fu subito capito dal pubblico di allora poiché richiedeva un lavoro intellettuale sproporzionato alla capacità culturale media dell’URSS post zarista (e parlo degli spettatori). Ma alla massa della critica sovietica, la cosa non si può proprio perdonare perche il denigrare l’opera, il non volerle riconoscere i grandi meriti del regista nel suo definire in maniera esemplare il confronto/scontro che il film instaura fra l’opera d’arte tradizionale e quella veramente rivoluzionaria, fu un atto di totale, codardo  asservimento al potere.

I critici di professione possedevano infatti gli strumenti giusti per valutare in positivo la straordinaria funzionalità delle sequenze di taglio breve o trasversale che fossero,  e il particolare uso che il regista fa di questa specifica peculiarità che acquisisce un valore prioritario nella struttura dell’intera opera.

Le risorse tecniche a disposizione diEjzenštein erano già molto avanzate rispetto agli anni precedenti (poteva scegliere tra carrellata e stacco, tra panoramica ed effetti di gru, tra ritmo lento e rapido per esprimere un tema ed un soggetto) e lui le usa tutte nell’espletare il suo memorabile lavoro che nessuno davvero poteva disconoscere se fosse stato in buonafede. Che dirfe allora se non che quella critica orba, era tenuta a guinzaglio da Stalin e la sua cricca?

 

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L’ottimo apporto fornito dai suoi collaboratori più stretti è quello di Eduard Tissè per la fotografia e di Dimitri Shostakovic (che aveva già fornito la partitura sonora per la  Corazzata Potemkin ripresa dalla Sinfonia n° 11 in sol minore,  op. 103 scritta nel 2005) per il commento musicale. I protagonisti furono invece scelti direttamente nelle piazze e nelle fabbriche di Leningrado per dare ancor più veridicità alle azioni collettive della massa (fra questi, V. Nikandrov che ricoprirà il ruolo di Lenin e N. Popov al quale fu affidato quello di Kerenskij).

 

[1] Ejzenštein con il suo percorso creativo pratico e teorico, ha definito e chiarito nella maniera più completa ed esaustiva possibile cosa si intende per monologo interiore nel cinema in rapporto con la  che ne aveva fatto già buon uso (si ricordano in proposito i suoi incontri con Joyce in relazione al progetto poi purtroppo naufragato, di portare sullo schermo l’Ulisse e la difesa che dello scrittore egli fece nell’Urss).

 

[2] Ejzenštein ha trasferito al cinema la cosiddetta teoria del “montaggio delle attrazioni”  che deve interpretare e non mostrare solamente raccordi di racconto. Secondo il suo pensiero infatti (e sono parole dello stesso regista) nel cinema quel che importa non sono i fatti mostrati, ma la combinazione delle reazioni emotive del pubblico. E’ teoricamente e praticamente pensabile, quindi, una costruzione senza legame di soggetto, che non si preoccupi neppure di essere logica e conseguente. L’importante è che sia capace di provocare una catena di riflessi condizionati, associati per volontà del montatore agli avvenimenti introdotti, che ambisce a stabilire una nuova catena di riflessi. Ottobre fa dunque tesoro di queste regole che possono essere sintetizzate in questo principio basilare: via le figure individuali (gli eroi che spiccano sulle masse) e via anche  la catena convenzionale degli avvenimenti. Secondo il regista infatti, tanto il mettere in risalto la personalità dell’eroe quanto la sostanza stessa della trama-narrazione, sono prodotti di una concezione classista del cinema. Ottobre  è dunque l’esempio più puro ed evidente  della straordinarietà innovativa di questa sua modalità operativa. A posteriori, si può dire che è proprio nella struttura architettonica del montaggio, nella sua fredda e rigorosa costruzione, che si percepisce la speranza – e la follia -  di un artista che sta sulla soglia di quello che credeva potesse diventare un coraggioso mondo nuovo al quale vorrebbe poter dare il suo contributo artistico.

Guido Aristarco su questo argomento (L’utopia cinematografica, Sellerio editore, 1986 p. 51) ha scritto: “Con Ottobre Ejzenštein ha anche offerto la riflessione più approfondita e articolata sul montaggio nel contesto del materialismo storico. Partendo appunto da questo, definisce anzitutto il montaggio come conflitto: di direzioni grafiche (linee statiche e dinamiche); conflitto di piani, di volumi, di masse (volumi pieni di varie intensità) di luce. Conflitto di profondità (primi piani e campi lunghi); di pezzi con direzioni graficamente diverse (pezzi che si risolvono in volumi contrapposti a pezzi che si risolvono in aree); di pezzi oscuri e pezzi luminosi; conflitti fra un oggetto e le sue dimensioni, tra un avvenimento e la sua durata. A questi e altri conflitti all’interno dell’inquadratura, aggiunge i conflitti tra le varie inquadrature. (…) Il montaggio non è dunque inteso solo come mezzo per produrre certi effetti (la suspence, ecc.) ma anche e soprattutto per parlare, per comunicare idee e farlo  attraverso uno speciale linguaggio cinematografico, una forma speciale di discorso filmico, come l’impiego della pars pro toto, del particolare in cui leggere l’intero: Il particolare non esiste se non in relazione al generale. Il generale esiste soltanto nel particolare, attraverso il particolare (Lenin)”.

 

[3] Con l’intento di far ricostruire la vicenda in una forma cha la committenza avrebbe voluto che fosse realistica e agiografica, furono messi a disposizione del regista mezzi davvero ingenti non solo di carattere economico, ma anche di tipo militare . Tutto questo, insieme all’autorizzazione incondizionata di poter girare nei luoghi che furono il teatro di quegli avvenimenti come il Palazzo d’Inverno. Oltre alle armi e munizioni, furono rese disponibili anche migliaia di comparse fra cui numerosi volontari combattenti che avevano partecipato all’insurrezione. Non solo: quando fu necessario disporre di un flusso eccezionale di energia elettrica, fu addirittura  lasciata al buio l’intera città di Leningrado per non interrompere la lavorazione. Ejzenštein ricorda così quei giorni: “le riprese iniziate il 13 aprile 1927, durarono parecchi mesi: si lavorava in condizioni di estrema tensione, anche quattordici ore al giorno. Una notte dopo l’altra, quattro o cinquemila operai di Leningrado, si offrivano volontari per partecipare all’assalto del Palazzo d’Inverno… Il governo forniva le armi e le uniformi insieme all’esercito. Lo stato ci prestò pure la celebre corazzata “Aurora”insieme ai carri armati e all’artiglieria”. E questo ci consentì di lavorare tranquilli sotto l’aspetto dei finanziamenti per tutta la durata delle riprese.

 

[4] Viktor Borisovi? Školovski (1893-1984) è stato uno scrittore e critico letterario che diede al formalismo russo  un importante contributo col saggio “L’arte come artificio” (1917) e che, nel periodo dello stalinismo, rivolse il suo interesse primario al cinema scrivendo recensioni e sceneggiature. Lavorò e si espresse a stretto contatto con l’avanguardia futurista, acquisendo la fama di intellettuale polemico e provocatorio.

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Ultimi commenti

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  2. laulilla
    di laulilla

    Bellissima recensione, approfondita e approfondita dalle note molto preziose,Valerio. A Torino tutta l'opera di Ejzenštein è stata qualche mese fa riproposta, restaurata, al cinema Massimo, per permettere anche ai più giovani di conoscere questo grandissimo e rivoluzionario (in tutti i sensi) regista. Grazie!

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Grazie invece a te cara Lilli per la tua gentilezza nel valutare positivamente il mio scritto. Sì, avevo avuto notizia di questa retrospettiva dedicata a EJzenstejn e a tutte le sue opere riproposte in versione restaurata al cinema Massimo di Torino. Anche io - grazie alla programmazione cinematografica inserita all'interno della stagione concertistica partita a settembre e che si concluderà a giugno interamente dedicata a Shostakovic e alle sue 15 sinfonie,- ho potuto vedere la versione restaurata ddel film che era stata messa in apertura del ciclo (5 pellicole con la colonna sonora del musicista). A ottobre si sono succedute pellicole decisamente rare come "Nuova babilonia di Grigorij Michajlovič Kozincev e Leonid Zacharovič Trauberg, L'uomo col fucile di Sergej Iosifovič Jutkevič e due dei capolavori del grande regista Kozincev entrambi tratti da Shakespeare (ma nella eccellente traduzione di Boris Pasternak): Re Lear e soprattutto Amleto (passato anche da Venezia) nella strepitosa interpretazione di Innokenti Smoktunovski (che io avevo visto a suo tempo e recensito ma nella versione pur egregiamente doppiata da Enrico Maria Salerno). Il rivederlo in lingua originale mi ha convinto ancora una volta (non ce ne sarebbe stato certo bisogno) che per quel che mi riguarda, i film dovrebbero essere poter visti sempre in lingua originale perchè la potenza che acquista per esempio "to be or not to be" con la voce di Smoktunovski è così inserita nel contesto (corpo dell'attore, musica, immagini,) che nessun doppiaggio sia pure il più perfetto (quello di Salerno lo è) potrà mai eguagliarlo come intensità ed emozione.

  3. cherubino
    di cherubino

    E' uno dei film che maggiormente mi hanno stupito di quell'epoca. Arte che supera la politica, celebrazione di un evento storico per chi quello voleva ma che consente anche letture diverse, quasi un quadro astratto che nasce dalle emozioni personali del regista che ciascuno può solo ipotizzare di aver scoperto se somigliano alle proprie.

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Concordo pienamente caro Franco. Nella Storia del cinema di Rotha/Griffith se ne parla così: " L'intensa, dinamica vitalità che caratterizza questo regista, è l'aspetto dominante delle sue espressioni cinematografiche. I suoi film sono esempi senza precedenti di regia vigorosa, veemente, vibrante, Con assoluta dedizione Ejzenstejn resta fedele allo scopo principale del tema, senza cercare ausilio esterno o ricorrere, come Pudovkin, o a soluzioni legate al tema solo su un piano simbolico. (...) Partendo da una visione ampia, e con il tema centrale della rivolta come unico, possente proposito, il regista sa rendere lo spirito collettivo dei marinai ne La corazzata Potemkin e i sentimenti delle masse in Ottobre, dando a questi film un tono ispirativo e travolgente. Nel primo ricorrendo a elementi significativi come l'avanzare dei plotoni della guardia, il roteare dei parasoli, l'ampiezza delle onde sciabordanti, le vele delle navi, la successione architettonica delle scalinate, l'ondeggiare della tenda sul molo, le folate di vento sotto le coperte dei marinai prigionieri, l'ansietà collettiva dell'equipaggio ribelle mentre si attendeva l'arrivo della flotta. Analogamente, in Ottobre le principali soluzioni espressive riguardano la statua gigantesca che vigilava le strade, l'architettura e i lampadari del palazzo d'Inverno, i manifesti galleggianti nel fiume, le bandiere della folla, i fucili delle guardie. A ciò si aggiunge il mirabile senso di composizione pittorica e un'indiscussa abilità nel movimento delle scene, talmente illuminate da rivelare, fin dalla prima immagine il significato fondamentale della sequenza. (...) Con un efficacissimo procedimento di montaggio, il regista crea una continuità, o delle sovrapposizioni nel movimento interno dei fotogrammi, che ne raddoppiano la forza: è raro invece che ricorra a immagini statiche, senza movimento, a meno che non desideri esprimere una certa atmosfera (come nelle inquadrature degli dèi e i dettagli architettonici.).. (...) Parlando ancora del suo cinema in rapporto a quello di Pudovkin si possono dunque citare e fare nostre le parole di Moussinac: Un film di Ejzenstejn somiglia a un grido, quello di Pudovkin evoca un canto".

  4. maurizio73
    di maurizio73

    Solo un piccolo appunto di minimo revisionismo storico: se nulla si puo' eccepire sull'indiscutibile contributo di Ejzenstejn al progresso tecnico e artistico della settima arte (gli americani infatti lo capirono subito), districandosi nel rischioso pantano della burocrazia bolscevica e allontanandosi dal concetto invalso e celebrativo di realismo socialista, non così si puo' dire di un intellettuale pernicioso come Victor Sklovskij, che in quel pantano ci sguazzava come la maggior parte degli scrittori di regime: uno dei pochi che Solgenitsyn mette nella black list di chi redasse un'opera celebrativa collettiva con capofila Gorkij (libro caduto presto in disgrazia come quella degli ufficiali che lo commissionarono) sul canale Bianco-Baltico; una delle poche testimonianze scritte dell'utilizzo massivo della nuova servitù della gleba agli scopi della modernizzazione del paese. Insomma erano tempi difficili e parlare di torrette di guardia, cani pastore come della ramificata proliferazione dell'Arcipelago non era molto igienico, ma lo era assai meno fare film storici, chesso', sulla sanguinosa e fratricida Rivolta di Kronstadt.

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Sono sostanzialmente d'accordo con te sul giudizio complessivo che dai su una figura per più di un verso poco edificante come quella di Viktor Borisovi? Školovski. Forse avrei dovuto essere più esaustivo nello scrivere le note che riguardano questo discutibilissimo personaggio. Se ho scelto la strada più breve e non mi sono dilungato troppo, è perchè qui l'ho citato in forma assolutamente marginale (diciamo perchè mi faceva comodo quello che aveva scritto a proposito di Ottobre omettendo anche che quella che ho riportato è stata un sua tardiva dichiarazione, visto che nell'immediato aveva invece accusato il regista di essersi smarrito nelle diecimila stanze del Palazzo che era un giudizio quasi oltraggioso. Ne ho fatto insomma un uso esclusivamente strumetale) e per questa ragione ho deciso di dare solo piccole note di collocazione temporale corredati da alcuni - brevissimi - elementi biografici sui geners (non avevo infatti alcuna intenzione o voglia di affrontare in tale contesto questo spinoso argomento che per essere sviscerato tutto nella maniera giusta, avrebbe richiesto troppo spazio, tempo e attenzione, che no volevo sottrarre al film. Parlo dunque di utilizzo strumentale poichè il citare quelle sue frasi all'interno della recensione mi permetteva di fare un riferimento indiretto senza dilungarmi troppo, all'uso degli oggetti che il regista fa, (molto significativo e importante al pari delle figure umane: "daa una parte gli uomini e dall’altra le cose". Attraverso di lui era possibile rimandarsi in qualche modo anche al formalismo russo perchè di quella corrente, volenti o nolenti, quel saggio da lui scritto ( “L’arte come artificio”) ne rappresenta il manifesto. Vorrei a questo punto aggiungere però che all'interno dei meccanismi linguistici utilizzati in Ottobre dal regista, si possono anche scorgere le tracce di procedimenti analoghi sviluppati da altre mani e portati avanti in altre direzioni come - per esempio - la teoria del grottesco di Mejerkol'd ("trasportare lo spettatore da un piano appena raggiunto ad un altro piano per lui assolutamente inaspettato") o addirittura a quella - e qui si ritorna a botta al nocciolo dells nostra interessante conversazione -, dello straniamento ("la messa a nudo") che è proprio di Sklovskij che spinge verso un procedimento narrativo atto a provocare nello spettatore il rifiuto traumatico delle proprie abitudini percettive. Aldo Grasso nel Castoro dedicato al regista che ho giàcitatonella recensione, riferendosi proprio a questi due potetici parallelismi, si è espresso così: "(,,,) E' un'evidenza accertata che l'universo formale di Ejzenstejn è un universo in cui i personaggi e le cose si muovono nel mondo dichiarato della rappresentazione". Ma tornando all'oggettistica, se devo proprio scendere nel dettaglio, posso a questo punto ricordare anche che il regista ci presenta il Palazzo d'Inverno come un enorme deposito di oggetti assurdi rimssti privi del loro vecchio padrone che assumono un senso quasi fetiocistico - che è poi la ragione primaria per cui a suo tempo si gridò allo scandalo all'uscita del film nelle sale ma che permette a Ejzenstejn di descrivere ilmondo della vecchia Russia zarista attraverso di essi.

    2. maurizio73
      di maurizio73

      Tutto corretto quello che dici Valerio (compresi i contributi di un teorico delle avanguardie come Sklovskij); il mio appunto era ovviamente quello di rilevare la natura spesso controversa del giudizio sugli intellettuali che agivano sotto la costante pressione del regime (sin dal suo insediamento a Palazzo d'Inverno nel 1917) e di come quindi alcuni si smarcarono meglio di altri dalle sue lusinghe, e più spesso dalle sue minacce. Persino alcune ricostruzioni storiche del dissidente premio Nobel sono da prendere 'cum grano salis', benchè la sua opera sia molto documentata e particolareggiata (gli storici devono sempre porsi più domande rispetto alle molte risposte che i documenti sembrano suggerire loro) e ad onor del vero, per dirla con un linguaggio moderno, Ejzenštein non è mai stato nominato!

  5. ezio
    di ezio

    Caro Valerio sei come sempre perfetto nelle tue analisi e approfondimenti al film recensito,spero possa entusiasmarmi come te,visto che e' stato definito "un film per il futuro".....

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Grazie caro Ezio. Mi auguro anche io che il film arrivi ad entusiasmare anche te quando lo vedrai. Ovviamente -come giustamente ha scritto @noodless94 nella sua altrettanto bElla recensione - è necessario (anzi indispensabile - "contestualizzare"

    2. ezio
      di ezio

      perfetto !!!

  6. DavideKingInk80
    di DavideKingInk80

    Quante immagini d'inaudita potenza in questo capolavoro assoluto, immagini portentose che galleggiano sull'oceano tempestoso della musica di Shostakovich... addentrarmi nei ventricoli di San Pietroburgo, città che ho visitato nel 2007, attraverso l'occhio del grande regista russo, e vedere l'Incrociatore Aurora - attualmente, dal 1956, nave museo attraccata alla banchina davanti all' Accademia navale, nave museo anch'essa visitata - in azione fa un certo effetto...
    Come sempre, hai vivisezionato l'opera in modo ineccepibile... grazie e complimenti Valerio, un caro saluto!

    1. (spopola) 1726792
      di (spopola) 1726792

      Ciao Davide e grazie per l'attenzione che ancora una volta hai riservato a una mia recensione. Ejzenštein è un regista immenso e ogni sua opera una "lezione" di cinema (e sul cinema) di assoluta rilevanza per il contribuito che ha dato proprio nell'evoluzione (anche innovativa) del linguaggio delle immagini. E' insomma uno dei grandi (inarrivabili) maestri della settima arte che dovrebbe essere studiato a fondo da tutti quelli che amano davvero il cinema. San Pietroburgo purtroppo io non l'ho vista (era fra le mete "possibili di di questo autunno ma poi sai anche tu cone sono andate le cose col virus che non lascia la presa , e penso che ormai rimanga per me solo un desiderio impossibile da realizzare (il tempo per me è sempre più tiranno). Il ricordo ancora vivo del tuo passaggio da quella splendida città che mi hai regalato, acuisce ancor di più in me il rimpianto per un viaggio (a questo punto) solo vagheggiato che posso fare solo con la fantasia e con l'ausilio delle immagini sicuramente del cinema di Ejzenštein ma anche di tutte le altre pellicole che di quella città hanno messo in scena la bellezza insieme ai suoi "tesori" prima fra tutti, Arca russa di Sokurov..... Ma incrociatore Aurora, straordinario museo ancora in azione attraccato alla banchina davanti all'Accademia navale.... sì.... l'avrei voluto vedere anche io dal vivo (e so per certo che l'emozione - grande, immensa -sarebbe stata analoga alla tua). Grazie ancoro e a presto.

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