Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
Un film in cui l'evento si fa proclama, ed il proclama simbolo. Le statue sono la personificazione, e finanche la caricatura, del potere zarista, freddo ed inerte come il marmo, e dalle pose ridicolmente tronfie come quelle di un gufo o di un pavone. Gli stivali e le punte delle baionette sono identici a quelli de "La corazzata Potëmkin": strumenti di una minaccia disumanizzata, posta in essere da tanti anonimi pupazzi fatti in serie. La vera forza è invece quella della moltitudine viva e autentica, un gran mare di gente, di armi, di volantini rivoluzionari, che risponde come un'ondata travolgente e incontenibile alle umiliazioni. Sullo schermo le fasi della lotta sono contrassegnate dalla sorte degli oggetti (i fucili, le insegne) impugnati nel momento dell'attacco e deposti nel momento della resa; gloriosi nella vittoria, vilipesi nella sconfitta (i monumenti, gli arredi del Palazzo d'Inverno). Così i significati sono condensati in gesti che diventano riti: l'unione tra soldati ed operai è lo scambio dei berretti con gli elmetti, e la repressione politica è un nugolo di borghesi che getta nel fiume le copie della Pravda. "Pace, pane e terra" è il trinomio di un'utopia infinitamente lontana dalla realtà, ma onnipresente nei cuori, che è il motore trascinante dell'insurrezione, e scandisce il ritmo della storia come il rumore dei passi che nella marcia, nella danza e nella protesta, battono all'unisono il suolo.
Ejzenstejn realizza una ricostruzione documentaria straordinariamente accurata, con un impressionante dispiegamento di comparse.
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