Regia di Ang Lee vedi scheda film
Linee parallele destinate per lo più a non incontrarsi: così le vite dei personaggi di Tempesta di ghiaccio. Vite che lo stesso linguaggio, normalmente canale di comunicazione, ma qui fredda litania senza senso, contribuisce a disunire e a chiudere in un individualismo senza speranza. Così, i dialoghi sono di frequente monologhi e vanno al di là delle intenzioni dei parlanti (il padre, convinto di esprimere concetti solenni, risulta poco più di una macchietta per i familiari, e una seccatura per la stessa amante). Sennonché l’autismo dei protagonisti non deriva solo da un’incapacità di comunicare sul piano verbale, ma si estende spesso e volentieri alla stessa fisicità. Il sesso, nonostante l’imperare della rivoluzione kinseyana (siamo nei primi anni ’70), sembra più un dovere sociale che un piacere: così per l’adolescente Wendy e i suoi coetanei, i cui primi approcci intimi sono tanto maldestri quanto tristi, e così per gli amanti clandestini Ben e Janey, la cui tresca, passata la fase dell’avventura, è giunta a un punto di saturazione. Il resto degli adulti, poi, cerca la conferma di un’avvenuta liberazione sessuale nella visione dei primi film porno (alle feste si discute di Gola profonda) o, peggio, in squallidi chiavi-party, alla fine dei quali ogni donna va via con il proprietario del mazzo di chiavi raccolto a caso da un portacenere comune. Il contatto con il prossimo è qualcosa di sporco: del resto, come ci conferma il sedicenne Tobey, i cattivi odori non sono che molecole che si staccano dai corpi altrui ed entrano nei nostri attraverso i canali respiratori. I personaggi messi in scena da Ang Lee non attirano simpatia, né però, essendo vittime di uno sbracamento collettivo, risultano totalmente antipatici. Diciamo che per lo più ci sono indifferenti e che tale mancanza di empatia è in gran parte l’effetto diretto di una narrazione tenuta volutamente algida e incolore dal regista, sostenuta dai toni grigi della fotografia di Frederick Elmes. Lee racconta le disfunzioni di una piccola comunità di WASP del Connecticut, colpita dalle svolte sociali e politiche che hanno permeato il mondo tra gli anni ’60 e i ’70, ma lo fa con lo sguardo imparziale dell’entomologo. Inevitabilmente, sembra dirci, il disfacimento morale che sta colpendo il macrocosmo-America attraverso lo scandalo Watergate e la vicenda personale di Nixon si riflette sulle sorti del microcosmo-provincia, lasciato in preda ai propri dubbi sul modo migliore di affrontare il cambiamento (il padre che cerca di iniziare il figlio maggiore ai misteri del sesso, come sicuramente aveva fatto suo padre con lui, si rende ben presto conto della sua ridicolaggine). Ma la morale che il film intende trasmettere è dubbia, e il messaggio del film confuso. Ciascuna generazione si confronta in senso critico con i valori tramandati dalle generazioni precedenti, nella maggior parte dei casi innovandoli, e se è vero che i tentativi di creare una contro-cultura ispirata a nuovi valori di riferimento si sono in parte rivelati un fallimento, è anche vero che i turbamenti dei borghesucci di Tempesta di ghiaccio hanno poco in comune con il fervore che pure ha animato la società americana in quelli stessi anni.
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