Regia di Niki Caro vedi scheda film
La domanda permane. S’annida, ostinata, in un angolo della mente. Ed è la seguente: perché diavolo persistere e insistere nel produrre orridi remake “live action” di classici animati? Risulterà evidente la natura sommamente retorica della stessa. Ma, a pensarci meglio, forse più che altro la vera domanda è: perché diamine continuare a vederli? Chiunque lo chiedesse non avrebbe tutti i torti, in effetti. Si potrebbero invocare ragioni di carattere diciamo masochistico. Autolesionismo che si esplica chiaramente in quel malsano “amore” per il trash che in tanti paiono condividere. Possibile. Quel che è certo – però – è che se già una cosa è puro trash almeno deve riuscire a divertire in qualche modo. E, poi, diciamolo, al di là di ogni altra considerazione: c’è pur sempre un limite a tutto.
A questo proposito, la Disney ha tirato ormai definitivamente la corda. Basta. Dopo aver quasi rovinato la Pixar, prodotto la peggior trilogia di Star Wars, ammorbato le masse con filmetti supereroistici brucia-neuroni e spacca-cervello, nonché remake e affini sempre più intollerabili, alla casa di produzione resta solo di rovinare anche la 20th Century Fox (o, pardon, “Studios”) in ogni sua multiforme declinazione per completare l’opera.
Ed ottenere così il quasi-monopolio non solo del cinema tout court (per ora siamo dalle parti del 40% del mercato, signore e signori, mica bruscolini), ma in particolare del più deteriore, cretino e infantile cinema d’intrattenimento. Di certo, con questa grandiosa “serie” di pantografie di più o meno nobili classici d’un tempo pare si stia prodigando alquanto per riuscirci.
E pensare che Mulan probabilmente non rappresenta neppure la peggiore, di dette pantografie. Ciononostante, questa versione estate 2020 dell’arcinota vicenda si configura come una delle più ridicole “degradazioni” a fini bassamente mercantili dell’intera parabola disneyana (e non dimentichiamo che la concorrenza è alta e accanita al riguardo).
D’altronde, manca pressoché d’ogni cosa: una ragion d’essere, una sceneggiatura decente, una regia competente, una protagonista carismatica (in generale una recitazione convincente), un montaggio coerente, una qualunque forma di coinvolgimento… si potrebbe andare avanti in aeternum.
In sostanza, si tratta (notizia sconvolgente, tenetevi stretti) della solita opera usa-e-getta destinata al breve e rapido consumo ante-deterioramento biologico; un film insulso, insipido, anodino e patinato. Avete capito: un tipico prodotto a marchio GDO, che non significa Grande distribuzione organizzata, quanto piuttosto Grande Deiezione Ottundente.
Siamo in presenza della “benemerita” opera d’una multinazionale persa a rimirarsi lasciva allo specchio, la quale ha compreso perfettamente che di norma per fare i soldi (i money, quelli veri) basta veramente poco. Non v’è neanche più bisogno di procedere per “eufemismi”, suggerire, citare, omaggiare, riprendere, trarre ispirazione, fin saccheggiare in certe parti a bella posta… no. Oggigiorno è sufficiente ricopiare quasi passo per passo, e per di più da se stessi. Ecco a voi la nuova “scintillante” frontiera cinematografica postmoderna: l’auto-scopiazzatura. Yee-haw! Avanti così.
Ma – per scendere “brevemente” nello specifico – cosa possiamo dire in pratica di questa sensazionale operazione? Innanzitutto, che pare prodotta con il preciso obiettivo di espungere tutto quello che funzionava dal film del ‘98 per sostituirlo con (rullo di tamburi)… niente. Sorprendente, eh?
Mulan 2020 è un sedicente film del tutto privo di pathos ed epica, a tal punto che le 8 ore dell’Empire di Warhol in confronto paiono appassionanti come una gita su Marte. Se poi perfino un film d’animazione stilizzato con un draghetto logorroico che sgattaiola di qua e di là riesce a risultare nelle scene clou più impressionante, avvincente, epico e maestoso beh… produttore e regista, a mio modesto avviso qualche domanda dovete farvela.
Il “più costoso film mai diretto da una donna” è inoltre ricolmo di tali e tante idiozie e insulsaggini, nonché talmente retorico, che sembra esser stato prodotto con l'intenzione di solleticare i pruriti della parte più deteriore, retriva e reazionaria della società cinese. Quella del (si perdonerà l’anacronismo) “Dio, patria e famiglia”, per intendersi. Mulan in questa versione diventa una sorta di glorificazione nazionalistica, nostalgica e retrograda portata oltre ogni livello di guardia.
Va da sé che sia la storia alla base che il film del ‘98 parimenti non si affermino propriamente come portatori della più esaltante e positiva retorica, con il loro insistere pervicaci su onore, famiglia, “etica del guerriero” e via discorrendo. Ma, perlomeno, nel film d’animazione il tutto era trattato con una punta d’ironia (anche d’umorismo) e – in aggiunta – in qualche misura “corretto” da buone dosi di “femminismo”.
Un esempio per tutti, che chi ha visto il classico Disney sicuramente coglierà: nella scena in cui la protagonista viene “smascherata”, là – nel film del ‘98 – finisce per venir umiliata, e fatica non poco a farsi dar retta in quanto è ritornata ad essere “solo una donna”; mentre qui la questione viene risolta in quattro e quattr’otto con un paio di battute, lei viene praticamente accettata ed ascoltata quasi subito, ed ecco che poi tutti vanno via di corsa verso il vento, con lei che li guida alla città imperiale che sennò poveretti si perdevano nei boschi. E questo è solo un esempio. Difficile stupirsi che il classico animato risulti pur con tutti i suoi limiti molto più profondo, significativo e capace di suscitare riflessione...
Alla fine in questo Mulan 2020 la patria e il “Figlio del Cielo” sono salvi, l’onore è ristabilito, la donna in quanto guerriera “generosamente accettata” ecc. Cosa volere di più dalla vita? Rispetto al passato, in questa “nuova versione” il tutto è tra l’altro trattato in maniera talmente assurdamente seriosa da generare al dunque un polpettone retorico veramente indigeribile.
E dico “assurdamente serioso” perché poi scivola nel ridicolo ogni due per tre, sin dai primi minuti con l’insistenza sul potente “qi” della ragazza (“Che la Forza sia con te, mia prode...”), che ne fa una specie di Wonder Woman ante-litteram semi-invulnerabile. Il qi, il potere, l’energia che pervade l’universo e lei, la prescelta. Oh, yeah. Lasciamo perdere poi la presenza della “strega” Gong Li che è meglio.
E non parliamo dei combattimenti anestetici che cercano di imitare malamente tanto i wuxapian quanto il cinema di Hong Kong, ovviamente fallendo miseramente.
E non accaniamoci troppo sugli antagonisti minacciosi come una figurina del McDonald’s, sulla protagonista catatonica, i dialoghi imbarazzanti, la monotona recitazione in inglese e il montaggio “d’avant-garde” (vedi la scena della valanga: ad un certo punto abbiamo un geniale stacco fulmineo nel bel mezzo dell’azione, e nell’inquadratura successiva la protagonista si è già magicamente proiettata dietro i nemici, ha già piazzato una fila di elmetti recuperati con la velocità di Flash e sta già per scoccare la freccia con cui li fregherà [tra parentesi, i nemici più cretini della storia, visto che si fanno cadere da soli la valanga sulla testa, ma va beh, son particolari…]).
Serve aggiungere altro? Bah, io questo non creto. Mulan 2020 – nonostante il profluvio di soldi che la sua produzione ha fagocitato – non ha una sola scena memorabile o anche solo visivamente intrigante, una sola bella trovata, un solo guizzo… E l’attesa per “Cruella” o qualunque altro futuro remake/rifacimento/rimasticatura/scopiazzatura a questo punto si fa fremente.
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