Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Un disperato e malato grido di libertà.
Se Badlands si fosse dipanato nella periferia di una metropoli americana, o lungo autostrade trafficate, o al chiuso di rifugi nascosti, probabilmente parleremmo della storiaccia melensa di un sentimento giovanile schizofrenico, uno dei tanti filmetti crime sullo schema "insegui e scappa". La maestà naturale è l'elemento chiave che emancipa Badlands da immeritate etichette e lo consegna irrefutabilmente a una dimensione universale. I due giovani sono soli al mondo, braccati da chiunque, e pure tra di loro le cose non vanno troppo bene: il fanciullesco sentimento iniziale è mutato in un'incomunicabilità assordante, l'unico laccio che li tiene assieme è la logica utilitaristica del "simul stabunt vel simul cadent". Di conseguenza è la Natura l'unica silenziosa complice e testimone dei loro crimini, divinità armonizzatrice e normalizzatrice. Tra l'inquadratura imperiosa di una sterminata prateria e quella di un rigoglioso boschetto, quasi siamo portati a dimenticarci della spaventosa scia di sangue cui stiamo assistendo: ci appaiono come ordinari incidenti della vicenda umana, puntini invisibili nell'immensità olistica del circostante. Il sincero e malinconico lirismo naturalistico mitiga il raccapriccio per i delitti, mentre la cronaca diaristica di Holly, adolescenziale e straordinariamente priva di malizia, cambia addirittura il significato di tutto il vagare e ribalta i ruoli: si direbbe quasi che Badlands non sia il resoconto delle efferatezze di un serial killer e della sua complice, ma di un viaggio verso un qualche posto nel mondo. Una coppia rifiutata e osteggiata che desidera soltanto pace. Chiaramente la ricerca è destinata al fallimento.
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