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La rabbia giovane

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su La rabbia giovane

di Lehava
6 stelle

Un lavoro invecchiato maluccio, questo “La rabbia giovane”, primo lungometraggio di un regista controverso (a mio personale avviso sopravvalutato) come il texano Terrence Malick. Certo, va guardato in prospettiva. E forse, nel 1973, le tematiche, seppur non nuove, potevano apparire crude e scioccanti (non a caso parecchie pellicole successive, da "Thelma e Louise" in giù, hanno preso spunto). Tanto da sostenere la validità ed il senso di un opera che oggi, appare in tutta la sua modestia. A prescindere dal giudizio entusiastico del Dizionario Mereghetti (e di quasi tutti gli utenti di film.tv). Molti i limiti tecnici: innanzi tutto un montaggio discutibile (fastidiosi jump-cuts) che frammenta e scompone la struttura narrativa. La sceneggiatura, con ellissi inutili e dei dialoghi poco pregnanti, non aiuta: il registro è volutamente freddo e impersonale, ma i tanti silenzi più che esplicativi sono noiosi. Trascurabile la colonna sonora, sebbene affollata di nomi celebri e di altrettanto famose canzoni e melodie (da Orff in poi). Personalmente, il sonoro in genere non mi ha convinto. Regge invece la fotografia, aiutata da buone locations soprattutto esterne. E' nota la propensione di Mallick per l'utilizzo narrativo della natura, e delle immagini della stessa. Qui i campi lunghi riescono ad esprimere, con vigore ed immediatezza, il vuoto dell'anima dei protagonisti: il nulla fuori, il nulla dentro. A loro modo, bravissimi sia Martin Sheen che Sissi Spacek: il primo, indifferente al mondo; la seconda, inconsapevole del mondo.
 

Le inquadrature di apertura (sui titoli di testa) descrivono lo squallore della profonda provincia americana: Kit lavora saltuariamente: spazzino, guardiano di bestiame. Nulla di lui si sa, né si saprà nel proseguo: quale sia la sua famiglia, dove abiti, se abbia aspirazioni o desideri. La sua figura si staglia nel vuoto della prateria: senza passato, difficile ci possa essere un futuro. Incontra Holly: una graziosa, imperturbabile piccolo-borghese quindicenne. Forse indovina in lei una consonanza di insensibilità: fra loro non si può parlare di amore. Neppure di passione: il sesso è relegato ad un gesto meccanico ed obbligatorio senza coinvolgimento, neppure il naturale, animalesco godimento. I due si riconoscono, ma non si scelgono. Dall’entrata in scena della ragazza, il punto di vista cambia: da totalmente estraneo, passa a quello esterno, con voce narrante, di Holly stessa. E' attraverso i suoi occhi impassibili che gli eventi, sempre più drammatici, si susseguono. Consequenziali (causa-effetto) eppur casuali. Nulla ha valore, men che meno la vita umana: il dolore, come la gioia sono banditi. Non esiste un "progetto" nella mente di Kit. In quella di Holly, prende forma solo nel finale un principio primordiale di "salvaguardia" del sè: non una presa di distanza, solo un tentativo di salvezza. Un ritorno alle regole basilari del dare-avere, o, se si vuole del vantaggio-svantaggio. Del tutto sconosciute al protagonista maschile. Che infatti, pagherà per entrambi. Senza sorrisi, senza lacrime.
 

Asettico il titolo in lingua originale "Badlands". Affascinante ma fuorviante quello italiano: non c'è rabbia; non c'è età. Non si sono emozioni o sentimenti, non c'è tempo. C'è solo uno spazio: quello del vuoto appunto.
 

Malick si dimostra già da subito regista originale, sicuramente. Ma forse il suo messaggio resta troppo intellettuale-concettuale (e pertanto elitario). L’estetica non è trascurata, tutt’altro. Ma la forma, in qualche modo, sì. Ecco perché “La rabbia giovane” resta un buon film degli anni Settanta. Ma un film superato per il Duemila.

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Ultimi commenti

  1. ed wood
    di ed wood

    bella opinione, ma discordo del tutto (o almeno, sul primo e sull'ultimo paragrafo)...per me resta uno dei film più originali degli anni 70, già avanti rispetto alla stessa New Hollywood, che comunque all'epoca aveva introdotto innovazioni notevoli nel linguaggio e nei temi del cinema USA...Badlands è invecchiato benissimo, proprio per la sua "amoralità", per quel senso di vuoto e di inerzia che esprime, tramite i suoi personaggi e tramite una messinscena che contraddice le principali regole della psicologia cinematografica...Tutti si aspettavano un nuovo Gangster Story e invece Malick al suo primo film ha tirato fuori uno dei ritratti più moderni e convincenti dell'adolescenza: è stato forse il primo (al cinema, ma credo anche nelle altre arti) a dare una rappresentazione così anti-emotiva, anti-empatica, anti-romantica della età giovanile...altro che rabbia, passione, vitalismo! sull'inadeguatezza del titolo italiano ti do' pienamente ragione...Meno riuscito resta invece, a mio parere, "I giorni del cielo" che ho rivisto di recente, dove il ribaltamento dei tipici stereotipi melò e la rappresentazione della confusione etica Bene/Male riesce solamente a metà...un saluto!

    1. claudio1959
      di claudio1959

      La rabbia giovane ed I giorni del cielo sono film splendidi, che mi hanno toccato nel profondo.

  2. (spopola) 1726792
    di (spopola) 1726792

    Anche io sono un'accanito sostenitore di quest'opera che (mio personale punto di vista) rivista anche di recente mi sembra che abbia perso poco o nulla del suo smalto e della sua importanza. Malick ha realizzato infatti (sempre secondo il mio più che opinabile punto di vista) un'operazione di demistificazione iconoclastica (molto efficace e profonda) già con questa sua prima prova di uno dei miti fondativi della cultura americana e dei generi cinematografici. Nel caso specifico, l'operazione di decostruzione riguarda certamente la violenza e il disagio dell'America post-Vietnam ma anche e soprattutto il road movie (come si ricorderà particolarmente in voga in quegli anni tra i giovani grazie anche al successo di film come Easy Rider,e a sua volta derivato e ripreso (mutuato mi sembra essere il termine ancor più calzante) dal mito dell'ovest nei film western, ma ribaltandone il senso: infatti se in quelle opere di frontiera il viaggio nelle lande sperdute dell'America rappresentava un modo per riprendere contatto con una natura primigenia portatrice di una ritrovata coesione sociale, nell'opera di Malick il viaggio procede invece senza mete e obiettivi, senza maturazioni o crescite interiori (quasi una fluttuazione nel o verso il nulla). Anche la violenza a cui accennavo prima, è quasi un atto gratuito e senza redenzione perchè qui il serial killer(insieme alla sua donna) non ha la raffigurazione romantica di Clyde e la sua Bonnie (non scaturisce insomma dall'ingiustizia sociale ma da una grave carenza identitaria che porta ala fascinazione per le star dell'epoca c(come appunto James Dean). Insomma, il "serial killer è qui un principiante in confronto in confronto agli stermini di interi villaggi che gli americani proprio in quegli anni si stavano abituando a vedere nei reportage televisivi sulla guerra del Vietnam". (Ron Mottram). Insomma io lo trovo un film talmente proiettato nel futuro che dice ancora molto di ciò che è accaduto dopo e lo fa con uno stile "makickiano" riconoscibilissimo e già maturo "nello splendore della sua eleganza visiva, nel suo misterioso lirismo, nella sottile ironia e nella rappresentazione dei due protagonisti alienati e scissi" (Cecilia Chianese) che lascia trasparire la sua formazione Heideggeriana.

  3. Lehava
    di Lehava

    Ringrazio Ed e Spopola per i contributi, molto interessanti e carichi di rimandi culturali. Che mi permettono (grazie veramente ad entrambi!) una ulteriore analisi della mia recensione. Innanzi tutto: l' "invecchiamento" precoce che a me è parso evidente è di natura più che altro formale: può essere si tratti anche di un "gusto". Le dissolvenze in nero, le ellissi brusche, la voce fuori campo, un eccesso descrittivo, il non-ritmo della narrazione pongono quest'opera in contrasto netto con le convenzioni filmiche tradizionali (non solo dell'epoca) creando certamente uno "stile", quello di Malick. Che però a me non piace. Riconosco la decostruzione, e la critica, ma non trovo, nell'estetismo portato agli eccessi, quella maturità che altri hanno visto. Evidentemente è una mia difficoltà personale, che la lontananza dai miti demisticati accentua. "La rabbia giovane" è un film americano: guardandolo, ho avuto la netta sensazione che solo appartenendo appieno (diciamo pure totalmente) a quella cultura, si potesse afferrare la portata innovativa dell'opera. L'impatto del Vietman sulla società statunitense, il mito del west, l'enfasi sul profitto e sul successo personale, il mancanto mea culpa sullo sterminio degli indiani ... tematiche note. Ma che qui mi sembrano non trovare la strada della "universalità" e della "semplicità" (5 anni più tardi uscirà "Il cacciatore"): in esse rifiuto di riconoscermi. E quindi, trovo superfluo rileggerle o riscriverle. Ecco perchè, a mio avviso, Malick è sopravvalutato: egli in fondo è un mito americano auto-referenziale, esattamente come quelli (James Dean, Bonnie e Clyde, Salinger ed i Road movies etc ...) da lui distrutti. Alcuni dei quali parlano una lingua comprensibile ai più, altri no. Qui il carattere elitario (in senso negativo) della filmografia di Malick. Evidentemente influenzata da note biografiche: vissuto tra Oklahoma e Texas, immigrato di seconda generazione, laureato in filosofia con una breve carriera accademica che include tra l'altro la traduzione de "L'essenza del fondamento" di Martin Heidegger appunto. Cito dal web (per comodità. Mi pare un passaggio chiaro e conciso): "L’"Essenza del fondamento" pubblicata dallo stesso autore nel 1929 è l’opera che rappresenta il primo momento di riflessione di Heidegger sulla metafisica, sul pensare l’essere prescindendo le interpretazioni, cioè pensando l’essere solo a partire dall'ente e come suo fondamento, abbandonare in qualche modo l'essere come fondamento dell'ente ... La tesi dell'essere in quanto assenza di fondamento, mentre delegittima il nesso ontologico fondativo della metafisica moderna, prospetta uno degli esiti più estremi della volontà decostruttiva dell'ultimo Heidegger, lasciando intravedere il senso della successiva pubblicazione dei suoi corsi su Nietzsche, dove l’essere viene rappresentato senza fondamento, un essere che diventa il fondo abissale su cui l'ente è sospeso". A conclusione non posso rimarcare che, a sua volta, il mio "rifiuto" o "avversione" per "La rabbia giovane", hanno natura anche autobiografica: tempo fa pubblicai un post nel quale cercai di sintetizzare i sentimenti di estraniazioni profondi da me provati durante un viaggio (per motivi lavorativi) fra Alabama, Texas ed Oklahoma. La "vera" America (o una delle tante?) di cui non faccio parte, né voglio farne.

    1. claudio1959
      di claudio1959

      Ho apprezzato molto il tuo punto di vista spiegato molto bene, con citazioni opportune. Io ho Un altra opinione, ma la tua e rispettabilissima.

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