Regia di Peter Strickland vedi scheda film
Dal regista inglese del notevole Berberian sound studio, un horror di enorme impatto visivo, realizzato con una tecnica e una stile del tutto personale e affascinante.
Sheila (Marianne Jean-Baptiste), divorziata dal marito, ospita ancora in casa il figlio Vince e la sua fidanzata. Durante le feste natalizie, facendosi suggestionare dalla commessa di un negozio, acquista un abito vintage di colore rosso che pensa poi di indossare in occasione di un incontro galante, in un ristorante greco, con Adonis, conosciuto tramite un'agenzia per cuori solitari. L'appuntamento è però deludente, e a seguire una serie di sfortunate coincidenze (un'eruzione cutanea, la lavatrice che impazzisce quando ospita il vestito, continui rimproveri sul posto di lavoro) inducono Sheila a convincersi che quel capo porti sfortuna. Si reca quindi al negozio per restituirlo, ma inutilmente. Apprende però che quell'esemplare è l'unico del genere e che una modella, ritratta nel catalogo promozionale del negozio, è stata uccisa da un serial killer poco dopo avere posato per il servizio fotografico. Dopo un secondo appuntamento di incontri con Zach, questa volta corrisposto, Sheila una sera esce di casa mettendosi in auto, per andare a trovarlo, ma non arriverà mai a destinazione. Quindi ritroviamo il vestito nello stesso negozio, il cui acquisto questa volta è destinato per fare uno scherzo all'impacciato Reggie (Leo Bill), in occasione del suo addio al celibato. Quando la futura moglie Babs (Hayley Squires) lo indossa, si presentano sul suo corpo delle diffuse eruzioni cutanee...
Al quarto lungometraggio, l'inglese Peter Strickland conferma una predisposizione artistica non comune, sia alla regia che in sceneggiatura. Lo si poteva intuire già dal notevole Berberian sound studio, un film straordinario per atmosfera e perfetta combinazione tra immagini e suoni. Quello che si ripete, in uguale misura, in questo pregevole In fabric, horror (demoniaco) originalissimo per come è girato, montato e raccontato. Split screen, ralenty, fermo immagini, gradazioni cromatiche accese ma dalle tonalità cupe e suggestive sovraesposizioni: sono solo alcune delle tecniche adottate per nobilitare una rappresentazione di tipo "vintage", in tutti i sensi. E non solo per un vestito (che scopriremo essere un mezzo, non un fine) elaborato da operai -condannati a pena infernale- che lavorano senza sosta nelle profondità di un girone dantesco. In fabric è puro vintage per un gusto estetico (peraltro raffinatissimo) che rimanda a scenografie, costumi e fotografia tipiche degli anni '70, pur essendo invece ambientato ai nostri giorni.
Il distinto, pregiato, stile di regia riesce a rendere graziose sequenze a dir poco inquietanti, tipo quella che vede la misteriosa Miss Luckmoore (Fatma Mohamed) giocare con un manichino dalle forme femminili e dotato di vagina, mentre l'anziano collaboratore si masturba con conseguente schizzo al ralenty (su sfondo nero) di sperma. Un lavoro cinematografico insinuante, per via di un clima di incerta (ma pregnante) morbosità e decadenza, narrata però con una raffinatezza tale che contrasta con il contenuto.
La maestosità di talune sequenze, accompagnate da un fondamentale supporto musicale, è prova evidente di un talento in azione. Quello di Strickland, regista che dimostra di conoscere molto bene il cinema italiano (qui in particolare il Bava di Sei donne per l'assassino e l'Argento di Suspiria), riuscendo a (ri)elaborarne atmosfere, inquadrature, giochi cromatici e magiche sonorità; (ri)facendone cioè una sua precisa, incantevole, e personalissima versione.
"Noi siamo all’Inferno, e la sola scelta che abbiamo è tra essere i dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio." (Albert Caraco)
F.P. 12/10/2019 - Versione visionata in lingua inglese (durata 118'41")
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