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Il corridore

Regia di Amir Naderi vedi scheda film

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La recensione su Il corridore

di Peppe Comune
8 stelle

Amir (Abbas Nazeri) è un ragazzo iraniano a cui la guerra contro l'Iraq ha tolto praticamente tutto, una famiglia da cui ricevere affetto e una casa in cui poter stare. Orfano e analfabeta, vive nel relitto di un battello nel porto di Abadan, una città portuale situata al sud del paese. Fa lavoretti di ogni tipo pur di racimolare qualche soldo, soprattutto, insieme ad altri suoi coetanei, raccoglie le bottiglie di vetro che le navi lasciano al largo. Serviranno per custodire il ghiaccio dei venditori di acqua. Amir corre molto, corre sempre, come a voler stare sempre davanti agli altri nella conquista di un momento di svolta. Sogna di volarsene via o di prendere una nave o un treno che lo portino lontano dalla miseria in cui è sempre vissuto. Anche per questo inizia a studiare, perché capisce che saper leggere e scrivere già può servirgli per contrastare lo sfruttamento degli adulti.  

 

IL CORRIDORE - Spietati - Recensioni e Novità sui Film

"Il corridore" - Scena

 

“Il corridore” di Amir Naderi abbina al realismo per immagini tipico della migliore tradizione del cinema iraniano, la ricerca di espedienti simbolici che danno al tutto una veste più allegorica. Per il suo film d’esordio, e prima di legare le sue sorti autoriali a produzioni più internazionale, Naderi gira un film che entra a pieno titolo nella prodigiosa collezione della filmografia iraniana, seguendone alcuni tratti tipici, come il mondo osservato ad altezza bambino e il pedinamento quasi ossessivo del piccolo protagonista, ma anche distaccandosene per originalità di sguardo e maggior dinamismo conferito alla tecnica di ripresa e all'uso del montaggio. 

La regia cattura il qui e ora della condizione esistenziale di Amir che è fatta di stenti, di rabbia trattenuta in corpo, dell'innocenza dovuta abbandonare in fretta, ma è anche protesa a dargli un respiro vivifico, ad allargare gli orizzonti, a dare al campo visivo la possibilità di catturare fotogrammi che il montaggio si occupa per analogia di far entrare in rapporto dialettico con il non visto. Insomma, come accadrà anche nel successivo (e bellissimo) “Acqua, vento, sabbia”, Amir Naderi da mostra di voler oscillare tra realismo e simbolismo, tra il concentrarsi sul contesto sociale in cui il suo protagonista agisce e il trasfigurarlo attraverso inserti visivi dal forte impatto emozionale. 

Quasi come a voler esplicitamente evocare “Il ciclista” di Mohsen Makhmalbaf, Naderi sembra volere usare il momento del correre come fondamentale strumento di sopravvivenza. Come il protagonista del film d'esordio del maestro iraniano, per il quale stare in bici era diventato motivo di vita o di morte, il piccolo Amir corre come per non farsi raggiungere dalla sciagura che pare perseguitarlo. Amir ha perso tutto e quando corre a perdifiato insieme ai suoi coetanei, in quell'eterna attitudine che caratterizza lo stare insieme degli adolescenti, sembra muoversi come chi cerca di trovare in una riconosciuta attitudine personale l’agognata rivalsa sociale. Come quando decide di studiare perché capisce che imparare a leggere e a scrivere è un buon modo per smettere di far soldi elemosinando la benevolenza degli altri. 

Ma c'è più allegria che rassegnazione nel suo sguardo, più istintivo trasporto alla vita che passiva adesione all'esistente. Perché lui pensa sempre al modo di stare avanti agli altri che piuttosto che stare fermo per recriminare sul perché è rimasto indietro. Per questo Amir vive le sue giornate sempre in prossimità del porto e spesso gli capita di contemplare navi che salpano, aerei che volano e treni che sfrecciano sui binari. La fuga potrebbe rappresentare una soluzione in un futuro più o meno prossimo se solo si riuscisse ad assorbire tutta la rabbia che si porta in corpo in instancabili corse a perdifiato. Il movimento perpetuo diventa quindi un tratto narrativo essenziale e i diversi mezzi di trasporto ne assorbono anche in chiave simbolica la matrice possibilista.  

Già si è accennato alla veste allegorica che Naderi ha attribuito al film. A compendio di questa intenzione c’è tutta la bella sequenza finale, dove si vedono dei ragazzi correre verso una pietra di ghiaccio posta nel bel mezzo di uno spazio infuocato. La macchina da presa li riprende spesso di fronte, in una carrellata all'indietro che serve ad accrescere l'impressione che non riusciranno mai a raggiungere la meta. Intanto che corrono, degli stacchi repentini stringono il campo sulla lastra di ghiaccio che si scioglie molto lentamente nonostante sia contorniata da lunghe lingue di fuoco. Una sfida strana quello inscenata da Amir con i suoi amici, contrappuntata da un montaggio che lega tra di loro diversi fotogrammi in una maniera molto veloce e non necessariamente coerente. I venditori di acqua hano bisogno di ghiaccio, e sfruttano la voglia dei ragazzi di primeggiare in questa non dichiarata lotta per la sopravvivenza.

Correre con lo sguardo rivolto in avanti è l’unica cosa che sembra contare per Amir, l’unico modo per fuggire dalla miseria e guardare al domani con occhi diversi. E la regia di Naderi ci mette il suo per offrire delle soluzioni visive adeguate a questa chiave di lettura. Grande film 

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