Regia di Tim Miller vedi scheda film
Morto un papa se ne fa un altro.
Le battaglie per salvare l’umanità dall’annientamento non cessano mai. Anche nel momento in cui credi di aver compiuto il miracolo e tiri un sospiro di sollievo, all’orizzonte fa la sua comparsa una nuova incognita, un pericolo che si materializza sui germi di sempre. D’altronde, se non abbiamo la facoltà di prevedere il futuro, una cosa è certa: non impareremo mai dai nostri errori.
Dagli adagi pocanzi accennati, in Terminator: Destino oscuro non c’è più Skynet a dominare il futuro, ma la rimodulazione degli eventi, con l’invasione della tecnologia, non ha fatto altro che produrre un sostituto della stessa fronda.
Città del Messico, 2020. Grace (Mackenzie Davis), un ibrido tra donna e macchina, e Rev-9 (Gabriel Luna), un terminator di ultima generazione, arrivano contemporaneamente sulla Terra per rintracciare l’ignara Dani (Natalia Reyes), la prima per salvarla, il secondo per eliminarla anzitempo dalla circolazione. Ben presto, Grace e Dani potranno contare anche sull’aiuto di Sarah Connor (Linda Hamilton), da anni in lotta contro ogni forma di terminator.
Durante la loro fuga, passando dal Messico agli Stati Uniti, incroceranno la strada di un’altra vecchia conoscenza, ossia Carl (Arnold Schwarzenegger) che, nel frattempo, si è costruito una vita da umano.
Solo unendo le loro forze potranno sperare di sconfiggere un nemico all’apparenza indistruttibile.
Dopo una serie di (dis)avventure a briglia sciolta – Terminator 3: Le macchine ribelli, Terminator salvation e Terminator: Genisys – Terminator: Destino oscuro resetta la memoria superflua per riallacciarsi al mitologico Terminator 2 – Il giorno del giudizio, seguendo la prassi recente che guarda al passato con indefessa riverenza.
A tutti gli effetti, lo scorrimento del film diretto da Tim Miller lo riprende alla lettera, tra scene riprese fedelmente (come l’approdo sulla Terra di chi viene dal futuro), macroblocchi di azione lanciata a tutta velocità, vecchie glorie e identici primum movens.
Così, risolta frettolosamente la pratica introduttiva, siamo nel vivo di una lunga fuga, un puro centrifugato di action e fantascienza, scatenato quando aumenta il numero di giri, menando fendenti e senza badare al risparmio in fatto di proiettili spesi. Come rovescio della medaglia, ha le polveri bagnate quando rallenta e prova a stringere sui raccordi narrativi.
In più, l’attualizzazione, oltre a un passaggio del confine tra Messico e Stati Uniti, porta in grembo un’alta concentrazione femminile, con uno sbilanciamento anche eccessivo. Infatti, la mascolina Mackenzie Davis è un portento, mentre il personaggio di Dani è un lontano parente del John Connor interpretato da Edward Furlong.
Invece, a mettere tutti d’accordo ci pensa il ritorno di Linda Hamilton, attuato seguendo una metodologia già impiegata su Jamie Lee Curtis in Halloween (2018): caratteraccio da vendere, una corazza che non fa mai abbassare la guardia ed età mostrata senza ricorrere a trucco alcuno. Peccato solo non sia stata premiata da battute efficaci (ci sarebbero state numerose occasioni utili), quelle invece spettanti ad Arnold Schwarzenegger, che così gode di un carisma privilegiato.
Più in generale, quello dei dialoghi è un limite generalizzato, per un film che adotta il motto melius est abundare quam deficere. In pratica un aggiornamento ad alta densità derivativa, con più componenti ad arricchire le gerarchie, che unisce i puntini senza troppi fronzoli (quando ci sono, le svirgolate non si fanno attendere), tambureggiante nell’azione pur senza avere né la compattezza né il granito del suo illustre predecessore (è pur sempre vero che non si poteva nemmeno chiedere a Tim Miller di far rivivere il James Cameron di Terminator 2 – Il giorno del giudizio e Aliens - Scontro finale, antesignani action inavvicinabili da chiunque).
Insomma, Terminator: Destino oscuro è un nuovo capitolo dell’eterna lotta tra uomini e macchine, oggigiorno potenzialmente più vicina che mai, dal sapore revival, un po’ rabberciato ma anche grintoso quanto basta per non sfigurare.
Dignitoso più che degno (erede).
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