Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film
Non si può più parlare di Cinema, in Tsai Ming-liang. Il terreno d'esplorazione è quello dell'installazione e della video-installazione. Non si tratta neanche più di documentarismo, o di fiction. Si potrebbe parlare più che altro di esperienze audiovisuali in senso più esteso. E' un terreno post-apocalittico, che germina dal deserto lasciato da Stray Dogs nel 2013, e che ha attraversato la body art di Journey to the West, la confessione di Na ri xiavu e il VR di The Deserted.
Adesso passiamo alla ritrattistica in senso stretto, cioè a dire a un'opera audiovisuale come Your Face che si costruisce letteralmente sui volti enormi e quieti di circa 12 persone/personaggi. Molti di questi silenziosi, altri espansivi e pronti a raccontare un evento, un qualunque evento. Sembra quasi che a Tsai interessino più le forme di questi volti, che non il risultato dei loro monologhi. Parlare potrà servire, in molti casi, solo a permettere un'esplorazione dinamica ulteriore di quelle linee, di quei contorni, che non si smetterebbe mai di seguire ed esplorare.
Per poi tornare, alla fine - irriducibile Tsai - allo spazio immenso, come l'iniziale corridoio del Gusto dell'anguria o alla sala deserta di Goodbye Dragon Inn. Un luogo in cui sembra che tutti quei volti possano improvvisamente muoversi come fantasmi dell'immaginario, accedendo a un fuoricampo sempre deserto, sempre vuoto e sempre negato dai primi piani; un fuoricampo in cui sta lo stesso Tsai che guarda, intenerito, il generarsi spontaneo della bellezza.
Non è un film che giunge nuovo nella cinematografia di Tsai, né è particolarmente coerente con il discorso che Tsai sembra portare avanti negli ultimi tempi. Ma chi lo sa?, forse è una nuova strada di difficile interpretazione. O forse un tornare nostalgico a ciò che gli interessava e gli interessa tutt'ora, sotto sotto: il Cinema.
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