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The Trial

Regia di Sergei Loznitsa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Trial

di yume
8 stelle

Con materiali inediti d'archivio Loznitsa mette in scena dal vivo uno dei famigerati processi dell'era staliniana

“Dio dovrebbe essere trasparente e limpido come un cristallo invece di questo continuo spavento, di questa paura costante, insomma, Dio non ci ama.” 

Josè Saramago, Caino

 

scena

The Trial (2018): scena

 

Process, l’ultimo film di Sergej Loznitsa presentato fuori concorso a Venezia75, ci porta a Mosca.

L’inverno russo ha già imbiancato la città, il prologo è una lunga panoramica su strade e piazze con rari passanti, slitte e tramvai, carrozze e auto della nomenklatura, vecchio e nuovo al passaggio del secolo.

Scendono dalle auto nere i grigi custodi della Legge avvolti in lunghi pastrani di panno pesante, passano attraverso una piccola porta e prendono posto al tavolo della Corte.

 

scena

The Trial (2018): scena

 

URSS, 1930, Sala delle colonne nella Casa dei sindacati.

Un pubblico folto siede composto e immobile per ore. Unica reazione fisica sono le mani che coprono gli occhi, ci sono fari che non vediamo ma creano un disturbo notevole che acceca e si accetta senza proferir verbo.

Inizia il processo, undici giorni tra il novembre e il dicembre di quell’anno, poco più di due ore è il risultato di un paziente taglia e incolla fatto dal regista su documenti inediti e straordinari d’archivio, e noi assistiamo, per la prima volta dal vivo, ad uno di quei processi farsa di cui l’era staliniana andò fiera, e giustamente, visti i risultati.

Mentre il Terzo Reich finiva sotto le bombe alleate e il Fascismo penzolava a testa in giù a Piazzale Loreto, il Piccolo Padre di tutte le Russie continuò ad imperversare a lungo e morì nel suo letto.

 

Loznitsa (Maidan, Il giorno della vittoria, Austerliz,Evento,Donbass) prosegue instancabile a fornire materiali in cui cercare, se non risposte, almeno indizi, testimonianze di un immedicabile cupio dissolvi che si ammanta di ideologia, si addobba di belle idee per cui si muore, e altro non è che un mondo degli uomini ripiegato su se stesso nella solitaria oscurità di esseri sconfitti da un peso metafisico immodificabile.

Spiegare altrimenti le dinamiche che innescarono e condussero ben noti eventi del passato sarebbe difficile, la fuoriuscita dai propri confini, lo smarrimento, la perdita di sé che porta ad autoaccusarsi di crimini mai commessi, ad umiliarsi chiedendo perdono e promettendo, se la vita sarà salva, di “fare i buoni” in futuro, la manipolazione della verità che diventa sistema, tutto questo va troppo oltre e forse non arriverà mai il giorno in cui capiremo.

scena

The Trial (2018): scena

 

Ma sapere è necessario e allora ben venga chi ci aiuta in questa impresa.

Il documentario di Loznitsa è rigorosamente autentico, il sonoro è quello delle registrazioni originali, ovviamente c’è un montaggio che alterna esterni con masse ondeggianti e accecate che recano striscioni inneggianti al “Piano quinquennale in quattro anni”, alla “Difesa contro i nemici del proletariato” , alla “Morte ai traditori del popolo” all’interno dove i piani sono tre: il pubblico inerte ma chiaramente schierato contro gli imputati, il banco della corte con quattro o cinque giudici vestiti da proletari come si addice ad un tribunale rivoluzionario, lo sparuto gruppetto, sette, di ingegneri, docenti di alta scuola di tecnologia ed economisti accusati di essere membri del cosiddetto “Partito Industriale” (e già il nome farebbe ridere se non ci fosse da piangere) un’organizzazione controrivoluzionaria creata, con la complicità del primo ministro francese Raymond Poincaré e altri leader occidentali per demolire la forza politica e far fallire l’economia dell’Unione Sovietica.

Seguirono condanne a morte, in pochi casi detenzione di 10 anni e per tutti, naturalmente, confisca dei beni. Tutte inappellabili, proclama severo il giudice (nelle didascalie di coda Loznitsa c'informa che poi non fu così e quei poveri cristi furono riusati e messi a lavorare per il regime. Come dire, parafrasando, " Tutto è perduto, compreso l'onore, ma la vita è salva"

 

Ma leggiamo cosa dice il regista:

Ho cominciato a lavorare a un film sui processi farsa di Stalin, che si tennero nell’Unione Sovietica negli anni 1930, un paio di anni fa. Inizialmente, volevo montare delle riprese di processi diversi per mostrare come fu allestita la macchina del terrore sovietico e come, lentamente, il sistema penetrò nella mente dei cittadini innocenti. Studiando il materiale d’archivio, però, ho trovato delle riprese che sono assolutamente uniche. Ho deciso quindi di realizzare un film che fornisse allo spettatore la possibilità di trascorrere un paio d’ore nell’URSS del 1930: vedere e provare il momento in cui la macchina del terrore di Stato, creata da Stalin, veniva messa in azione. L’intenzione era ricostruire il processo passo dopo passo. Abbiamo restaurato e conservato il suono registrato nel 1930. Mi sono permesso di aggiungere un commento solamente alla fine del film. Commento necessario per affermare la verità giacché è impossibile discernerla in qualsiasi altro momento. Process è un esempio unico di un documentario in cui si vedono 24 fotogrammi di bugie al secondo”.

 

24 fotogrammi di bugie al secondo, affermazione geniale!

Non è una visione facile, ma ipnotizzante sì. Non si scappa annoiati dalla sala, quegli uomini sono i nostri simili, sono vissuti e morti, e la loro vita cos’è stata?

La domanda continua a girarci nella mente, possiamo condannare quel potere, maledire quelle coscienze inaridite, quelle voci gracchianti che accusano, indagano, sovvertono la verità, ma quello che resta è solo una grande pietà.

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
Le loro tombe affondano nella cenere,
e gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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