Regia di Sergei Loznitsa vedi scheda film
Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
È stato un peccato il fuggi fuggi durante la seconda proiezione serale, in sala Darsena, del bel documentario di Sergei Loznitsa. Un po' lungo a dire il vero ma sarebbe stato un affronto del regista, nato in Bielorussia, sforbiciare il dibattito in aula per rendere accettabile una durata che, invece, supera le due ore di lunghezza. Non è fiction ma storia per cui l'artista ucraino ha fatto il suo dovere di studioso cercando, innanzitutto, di mantenere inalterate le testimonianze processuali che vedevano alla sbarra la nomenclatura dell'industria dell'Unione Sovietica.
Siamo ad inizio degli anni 30 ed il processo vuole smascherare le colpe di uno sparuto ma potente gruppo di uomini appartenente al mondo accademico e produttivo riunito all'interno del sedicente "Partito Industriale" la cui attività ha lo scopo di ribaltare il governo sovietico così da riportare nel paese il capitalismo. Al Partito Industriale viene mossa l'accusa di aver tentato di sabotare il piano di sviluppo quinquennale e, ancora più grave, di aver ordito piani di invasione del suolo patrio da parte di paesi nemici del socialismo (la Francia).
Il montaggio curato da Loznitsa segue in modo pedissequo lo schema processuale. Il presidente dell'Alta Corte, appositamente costituita, legge i capi d'accusa a cui fanno seguito le dichiarazioni di colpevolezza di ciascuno degli imputati. Successivamente alla requisitoria del pubblico ministero ogni processato ottiene la parola per enunciare i capisaldi della propria difesa avendo ciascuno rinunciato alla consulenza di un proprio avvocato. Infine, dopo la raccolta di una testimonianza e la seduta dell'Alta Corte, il Presidente dà lettura della sentenza. Sergei Loznitsa recupera ed incastra tutte le parti del processo utilizzando, al limite, sovrapposizioni audio ove manchino le immagini e, grazie ad una serie di altri filmati, riesce a dare all'insieme uno sviluppo più unitario dal sapore filmico. Alla fine di ogni step del processo, infatti, Loznitsa inserisce le immagini di Mosca innevata, della gente che si reca in tribunale per assistere al processo, delle folle che manifestano all'esterno dell'edificio ove è riunita la Corte. Non mancano belle inquadrature della città, dei mezzi pubblici d'epoca e degli abitanti della capitale. Queste stesse immagini rappresentano un'operazione preziosa di recupero che ci restituisce un ritratto d'epoca della capitale sovietica. Loznitsa lascia che siano i filmati a parlare, con tutta la loro retorica, ed esclude voci fuori campo ed interventi girati ad hoc. Solo una didascalia nel finale ci apre gli occhi sull'effettivo scopo del processo. Stalin necessitava di un'esibizione mediatica di forza e di democrazia per sviluppare un preciso senso di appartenenza alla patria socialista e far ricadere sui nemici del bolscevismo le colpe dell'arretramento economico e produttivo di quei primi anni della Rivoluzione. Un progetto grandioso di propaganda politica e indottrinamento delle coscienze in cui i protagonisti della vicenda assumono un ruolo consapevole (gli imputati, la corte) ed un ruolo inconsapevole (le folle). Portare alla luce filmati dell'Unione Sovietica e smascherare un progetto così maestoso che si basa su un impianto di falsità appositamente studiate, è un messaggio, nemmeno troppo velato, verso i poteri forti che governano la Russia odierna e che addomesticano le folle con false notizie e verità sottaciute. Un atto di coraggio, pari a quello palesato dal film "The man who surprised everyone", che ha il precipuo obiettivo di svelare gli inganni della propaganda nel "democratico regime" di Vladimir Putin. Sergei Loznitsa parlando del suo lavoro ha affermato che "si tratta di un documentario in cui si vedono 24 fotogrammi di bugie al secondo". Ma, aggiungo io, all'interno di 125 minuti che esprimono delle verità assolutamente attuali e innegabili.
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