Regia di Victor Kossakovsky vedi scheda film
Venezia 75 – Fuori concorso.
La superficie del nostro pianeta è prevalentemente ricoperta da acqua, elemento fondamentale per garantire la vita umana che, al contempo, può essere anche un pericolo, oggi più che mai viste le rapide trasformazioni in atto nella natura. Mutazioni originate dall’uomo stesso che, noncurante delle conseguenze, continua a non tenere nel giusto riguardo quanto gli ha consentito di cavalcare un progresso che, dalla rivoluzione industriale a oggi, è cresciuto a ritmi esponenziali, ormai fuori controllo.
Victor Kossakovsky, pluripremiato documentarista russo (Viva gli antipodi!) parte dalle pericolanti acque ghiacciate del lago Baikal in Russia per approdare alle Angel falls, le cascate con il maggior dislivello al mondo, passando attraverso la distruzione dell’uragano Irma.
Quella proposta, è un’esperienza visiva impressionante, che immortala scorci naturali mozzafiato, tra onde in mare aperto, talmente monumentali da ridicolizzare anche quelle di pura finzione de La tempesta perfetta (letteralmente, fanno molta più paura e sono ancor più gigantesche), e iceberg delle dimensioni di grattacieli che, come balene, s’immergono ed emergono dal mare a turno, con la telecamera che passa dal cielo agli abissi, senza disdegnare il pelo dell’acqua.
Dunque, a livello di potenza delle immagini, siamo di fronte a una tecnica sbalorditiva, così come l’acqua, elemento a cui il documentario è dedicato, è raffigurata nelle sue varie forme, dai pericoli affrontati di chi ci vive a stretto contatto, fino alla sua essenza di fonte di vita, con nel mezzo la distruzione derivante dagli eventi naturali più devastanti.
Poi però subentra la rappresentazione e qui il banco salta. Ora, l’universo documentaristico ha ormai introiettato talmente tanti punti di vista, che le regole di un tempo non sono più uno scoglio infrangibile, ma a tutto c’è un limite.
Già l’incipit è corredato da indisponenti musiche hard rock/heavy metal che, senza una reale necessità, tornano più volte in corso d’opera frantumando il feeling visivo, ma anche l’ordinamento, che vede alternarsi il rapporto uomo/natura con eventi a se stanti, pare più prossimo a una galleria di immagini che a una costruzione organica e finalizzata.
Anche la scelta di non avere una voce descrittiva fuori campo ha un senso, ma si combina malamente sia con la presenza umana, sia con la superflua colonna sonora, frutto di puro artificio, soprattutto perché la potenza della natura non ha bisogno in alcun modo di note aggiuntive (o forse sì, ma collocarsi nel mezzo rimane promiscuo).
Alla fine, quella di Victor Kossakovsky è un’opera roboante, cui la dedica finale a Aleksandr Sokurov è quanto mai stridente e inutilmente fastidiosa, un mosaico di immagini da togliere il fiato che, oltre a una ridondanza di fondo, ricerca il clamore piuttosto della pulizia formale, senza intercettare un significato ultimo da porre dinnanzi a ogni altra cosa (il significato c’è, ma affoga).
Incredibilmente spossante, tanto quanto immergersi nel mare e farsi flagellare dalle onde per novanta minuti consecutivi.
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