Regia di Garin Nugroho vedi scheda film
Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
"Memories of my body" ha raccontato di Juno, di come, orfano di madre ed abbandonato dal padre in tenera età, sia stato affidato alle cure della zia, abbia sviluppato un curioso interesse per il culo delle galline, dalle quali sembrava riuscire ad ottenere le uova, infilando le dita nell'orifizio, per la gioia e tra lo stupore della gente del villaggio. Di come sia stato introdotto, fin da piccolo, nella danza Lengger in cui i maschi, vengo cresciuti imitando le movenze femminili, per riprodurre nelle coreografie il sinuoso movimento di gambe, fianchi e braccia femminili. Di come, adulto, abbia vissuto modestamente con uno zio anziano lavorando come sarto, abbia conosciuto un lottatore dai bicipiti scolpiti, di cui si è innamorato e del quale si è occupato per amore, di come si sia unito ad una compagnia teatrale e abbia girato di villaggio in villaggio per sfuggire alle persecuzioni causate dalla sua diversità e alle indesiderate attenzioni di chi avrebbe dovuto svolgere il proprio civico dovere e invece ha piegato il potere di cui era investito al servizio delle proprie voglie. "Memories of my body" parla di danza giavanese, di teatro dei mimi, di confusione di genere nell'arte popolare in un paese in cui le donne non possono coprire alcun ruolo e nel quale gli uomini sono chiamati a sopperirne naturalmente. "Memories of my body" è la dicotomia tra arte e vita, tra ciò che è ammesso e ciò che è considerato immorale, tra il soave gesto di un corpo truccato e riccamente agghindato nella riproduzione del ritmo e l'unione proibita di corpi e anime maschili. Juno è danzatore Langger ma anche maschio costretto a scappare dalla realtà che l'arte stessa dovrebbe rendere armoniosa.
L'argomento trattato dal regista indonesiano Garin Nugroho è di sicuro fascino ma, a mio avviso, ha il problema di una sceneggiatura decisamente frammentaria che non riesce a rendere coesi moduli narrativi che sono di difficile collocazione e che gli intermezzi dedicati al ballerino e coreografo Ryanto non aiutano certo a rendere di più facile fruizione. La sensazione vissuta sulla mia pelle, oltre alla difficoltà di collocare i segmenti narrativi nel contesto, è quella di non comprendere appieno le sequenze che, via via, si arricchiscono di personaggi o situazione a malapena accennati o sbucati dal nulla senza una logica precisa di montaggio o scrittura. Non aiuta certo lo spettatore occidentale la poca conoscenza della storia di un paese così lontano. Non ricordo una precisa indicazione del periodo e dei luoghi in cui è ambientato il film mentre è presente una riflessione sull'apparato militare inficiato dagli stessi vizietti che vorrebbe estirpare nel suo delirante processo di educazione civica e politica. Il padre di Juno è forse un oppositore politico scappato alle attenzioni del regime? Certamente 30 anni di dittatura di Suharto rendono ovvio il riferimento al suo apparato amministrativo e alle forze militari che, molto spesso, erano un tutt'uno in seno ad un regime che non badava certo a mantenere distinti poteri militari e amministrativi. Un film, dunque, difficilmente esportabile ma che non manca del coraggio nel trattare temi delicati, come l'omosessualità, o la coesistenza tra modernità e stili di vita tradizionali. Nel paese più densamente abitato da musulmani affrontare argomenti così delicati è ammirevole ma un senso della narrazione più pulito e preciso ed un dialogo più corposo avrebbe aiutato di sicuro a rendere l'opera meno ostica e più coinvolgente dalle nostre parti.
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