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The River

Regia di Emir Baigazin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The River

di obyone
7 stelle

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The River (2018): scena

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The River (2018): scena

 

Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.

Aslan (Zhalgas Klanov) è il maggiore di cinque fratelli di età infantile. Il padre, nonostante la giovanissima età, l'ha già investito di un'importante autorità. Sarà il padre per i propri fratelli. Un compito non facile che richiede fermezza e severità e che l'uomo (Kuandyk Kystykbayev) delega al figlio tredicenne secondo la tradizione kazaka. Per i ragazzini c'è sempre del lavoro da fare come preparare i mattoni col fango ed annaffiare gli ortaggi. "Il grido di libertà" è, tuttavia, più forte delle mansioni demandate dal padre alla prole. I bambini passano gran parte del loro tempo a nuotare nel fiume "della libertà" e a giocare nel polveroso cortile di casa con un pallone di pezza e archi di legno.

Le mancanze però si pagano ed il povero Aslan subisce, mansueto, le cinghiate del genitore per non aver saputo imporre la disciplina richiesta. Il padre picchia per mantenere il rigore, la madre (Aida Iliyaskyzy) rimane tra le mura di casa senza mettere becco nell'educazione dei maschi, i figli, in particolare i gemelli Yerlan (Zhasulan Userbayev) e Tourlan, (Ruslan Userbayev) si ribellano alle imposizioni impartite e all'isolamento subito.

Quando, però, un ragazzino biondo e caucasico di nome Kanat (Eric Tazabekov) compare all'improvviso, identificandosi come parente della famiglia, il castello di carte costruito dal capofamiglia, per mantenere "incontaminati" i propri figli, sembra implodere su se stesso. Da quando Kanat si accomoda nella casa dell'uomo il vizio attecchisce con estrema facilità. Il gioco, il sesso, l'ozio e l'invidia vengono a galla ringalluzziti da un tablet e dall'atteggiamento affarista e pratico del giovane ospite. Ma se all'inizio gli abiti alla moda, i mezzi di locomozione hi-tech ed i videogame lasciano pensare ad un personaggio amorale la realtà si ribalta superando il pregiudizio. Un litigio, appena accennato in un dialogo, e la scomparsa del giovane cugino lasciato solo in balia della corrente del fiume, durante una nuotata in compagnia, fanno precipitare la situazione. I fratelli cadono vittime del rimorso e si colpevolizzano per la morte del ragazzo. Chi si rimprovera per la pusillanimità, chi per non aver fatto rispettare le regole della civile convivenza. Impauriti e colpevoli i ragazzi vorrebbero confessare il "crimine", invece Aslan, mette i fratelli sotto scacco aprendo un vaso di Pandora di imprevedibili iniquità da usare come arma di ricatto per riportare l'ordine nella casa.

 

 

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The River (2018): scena

 

Il regista kazako Emir Baigazin condensa un'infinità di argomenti in questo suo ultimo lavoro appartenente alla "trilogia di Aslan". C'è una chiara denuncia nei confronti del neo-capitalismo e neo-colonialismo di stampo russo che indossa i panni luccicanti e attraenti di un ragazzino bianco che introduce il consumismo ed il progresso in un'umile casa di etnia asiatica facendo credere ai suoi abitanti di aver bisogno di ciò che è superfluo. C'è una rappresentazione efficace del meccanismo della crescita nella scelta maliziosa di Aslan di usare le altrui debolezze a proprio vantaggio, scelta che di fatto lo allontana dallo stato puerile ed lo inizia alla meschinità della vita adulta. E c'è una dissertazione filosofica nascosta tra le immagini di rara bellezza del deserto asiatico e dei tramonti sul fiume: il male non può essere chiuso fuori. Non bastano una casa isolata, l'assenza di notizie, un padre severo ed una rigida educazione. Il male alberga nell'anima di ognuno e non c'è minaccia di violenza che possa fungere da deterrente per estirparlo. Al primo bagliore, al primo luccichio si scuote dal proprio stato larvale e agisce con metodi subdoli tornando a galla qualsiasi sia la forza della corrente che lo spinga altrove.

Da buoni occidentali che curano i figli fino ai quarant'anni ci sarebbe da discutere sul modello educativo che spinge verso una veloce autonomia della prole a discapito dell'affettività. Ma non si può biasimare la durezza quando maggiore è la necessità di lottare per la propria sopravvivenza materiale e culturale.

Infine, ricordando il premio Orizzonti alla miglior regia, non posso tralasciare un commento sull'apporto tecnico del regista e direttore della fotografia che cura con maniacale precisione le riprese con un occhio di riguardo alle luci sabbiose e alla perfetta simmetria delle inquadrature. Splendide sono le sequenze al fiume che hanno costretto i bambini a lunghi allenamenti per irrobustire il corpo e acquisire il dominio delle acque. Bellissime anche le scene ludiche incorniciate tra gli infissi della casa ed il suolo arido dell'aia. Giocare a nascondino diventa una rappresentazione di ciò che più bello c'è nell'infanzia, il desiderio di fuggire via e poi di ritornare a "tana". Ma la sequenza che si erge a futura memoria vede Aslan, Mourat, Tourlan, Yerlan, Kenjeh arrampicarsi su di un crinale nel deserto, ed in ordine di altezza fermarsi a contemplare il mondo che li circonda, il primo in posizione eretta, l'ultimo ricurvo e vacillante alla ricerca della miglior posizione. Un allusione alla strada che il genere umano deve ancora percorrere prima di una totale evoluzione? Brividi.

 

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The River (2018): scena

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The River (2018): scena

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