Regia di Phuttiphong Aroonpheng vedi scheda film
VENEZIA 75 - ORIZZONTI - MIGLIOR FILM
La persecuzione a danno della comunità errante dei Rohingya, li ha spinti a migrare nei territori vicini alla natia Birmania, in cerca di pace e sopravvivenza.
Il regista indonesiano Aaronpheng ci pone sullo sfondo un esodo di massa che provoca l'annegamento di molte anime, ritrovate poi cadaveri tra le zone limacciose ed intricate di una foresta pluviale che diviene l'ultimo asilo terreno di quei disgraziati.
Un pescatore solitario - la moglie lo ha lasciato da tempo per un altro uomo - trascorre il tempo libero percorrendo la foresta alla ricerca di piccole gemme luminose che l'accidentato terreno nasconde.
Una foresta che l'uomo teme, ma anche affascina in modo ipnotico, e verso la quale prova una attrazione magnetica che gli impedisce di non attraversarla, scrutarla, scovarne i suoi tesori luccicanti, nascosti accanto ai macabri resti dei cadaveri di coloro che non ce l'hanno fatta.
Circostanza che consente all'uomo di porre fine alla propria reiterata malinconica solitudine, avendo modo di ritrovare e di salvare la vita ad un profugo ferito.
Un tipo silenzioso, ubbidiente e remissivo che non proferisce parola, e resta a vivere col marinaio.
Poco per volta, man mano che il nostro uomo si assenta per mare, il suo amico finisce per impossessarsi della sua vita privata, che vede tra l'altro il ritorno a casa della moglie fuggiasca.
Trovato l'amico in luogo del marito, la donna poco per volta lo trasformerà, nel ruolo e nel fisico, nel suo ex compagno.
Manta ray, che richiama apertamente nell'associazione lessicale quel "tutto scorre" relativo alla tematica del divenire, è un film eccentrico e misterioso che lascia allo spettatore una libertà totale di spaziare nelle mille incognite e bizzarrie che la vicenda introduce senza fornire risposte o spiegazioni.
Lo stesso regista, in sala a fine proiezione per il consueto breve Q&A, dichiara semplicemente di aver scelto dapprima le locations rispetto alla storia, e di aver voluto porre come sfondo di una sua vicenda intima di identificazione o rinascita, una tragedia sin troppo celata e poco nota come l'esodo della minoranza Rohingya.
Le luci sbrillucicanti nella foresta, che potrebbero far pensare alle anime dei molti deceduti a seguito della persecuzione ai danni della loro etnia, sono lasciate dal cineasta alla libera interpretazione e sensibilità dello spettatore.
E forse la magia del film sta proprio lì e nel non detto, non chiarito, lasciato in sospeso.
La manta della scena finale che nuota placida sui fondali mi pare una ostentazione eccessiva e servile ad un titolo sin troppo pieno di rimandi. Poco male.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta